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Sampdoria Scudetto, Mantovani: «Ho tre ricordi indelebili di mio padre»
Enrico Mantovani, ex presidente della Sampdoria, ricorda il primo Scudetto vinto dai blucerchiati: le sue parole a La Repubblica
Enrico Mantovani, ex presidente della Sampdoria, ricorda il primo Scudetto vinto dai blucerchiati: le sue parole a La Repubblica.
SCUDETTO – «Quell’anno non vidi dal vivo solo due partite, a Lecce e a Milano con l’Inter. Sì, proprio quella, il trionfo più importante. Ero a Boston, la guardai in un bar del North End, il quartiere italiano, con un mio amico italo americano, che normalmente tifa Fiorentina, ma non quel giorno. Il sabato c’era un raduno della mia squadra di rugby, non potevo mancare, tirammo tardi, andai a dormire a notte fonda. Qualche ora e di nuovo in piedi: colpa del fuso orario. Dovevo correre, come potevo perdere una sfida del genere, la gara del campionato? Vidi vincere la Samp dall’altra parte dell’Oceano, emozione pazzesca. Tra l’altro, a proposito di quel luogo, vuole sapere una chicca?».
INTER – «Conoscevo bene quel bar, contro l’Inter era una presenza occasionale, ma a Boston ho fatto l’università e dal 1982 al 1987 seguivo da lì la Sampdoria. In tv Rai Usa trasmetteva una partita, ma in sovra-impressione comparivano tutti i risultati. Per cui se avevo fortuna, beccavo la Samp: altrimenti seguivo con trepidazione la scritta sotto. Mio padre mi aveva regalato una gigantesca radio, di quelle che si usano nelle petroliere, ma non c’era verso, spariva sempre il segnale. Molto meglio il bar. E glielo dissi. Lui memorizzò e rimase zitto. Poi un giorno, stavano trasmettendo la Sampdoria, Nando Martellini dice: salutiamo tutti gli amici di Boston che ci stanno guardando. Un ridere, mio padre aveva fatto la soffiata».
LECCE – «A Marassi, come avrei potuto perdermi un giorno del genere? Di quella domenica ricordo tutto e sono sincero: arrivando allo stadio, il primo pensiero fu per papà. È chiaro, ero felice, sono un tifoso, si stava materializzando l’impossibile e dico la verità, non avevo la minima paura, la vittoria con l’Inter ci aveva dato troppa consapevolezza, anche se il calcio è fatto di scaramanzia e in settimana tutti al nome Lecce avevano evocato l’assurda vittoria del 1986 contro la Roma, lo scudetto perso contro i giallorossi. A noi no, non poteva succedere, ce lo meritavamo troppo. Ebbene, tutte gioie umane, comprensibili, ma la felicità più grande era per papà. Aveva realizzato l’impossibile, un’impresa pazzesca. E voluta. Perché lui aveva acquistato la Samp con quell’obiettivo. Ogni vittoria, bellissima, era una tappa intermedia, l’epilogo doveva essere lo scudetto. La logica conclusione di un’avventura fantastica, la sublimazione di una squadra costruita ad arte, pezzo per pezzo. Non aveva pensato, vado in macchina a Roma, ma arrivo in cima all’Everest. E c’era riuscito. Lo ammetto: quel giorno il figlio era molto orgoglioso. Partimmo forte, aggredimmo il Lecce, non riuscivano a venir fuori dall’area. Tre gol meravigliosi, tre momenti pazzeschi e una considerazione: va bene Cerezo, Vialli, ma se segna pure Mannini, quasi da metà campo, allora è scritto che vada così…».
NAPOLI – «Il successo a Napoli per 4 a 1. Non c’era papà, vidi la partita con mio fratello Filippo e la cosa mi commuove. Entrambi per anni la considerammo una partita simbolo, il passaggio di consegne. Loro con lo scudetto sul petto in vantaggio per uno a zero, noi che ribaltiamo e vinciamo 4 a 1. Memorabili i due gol nella ripresa, Vialli e Mancini. Due tiri al volo. Il capolavoro di Roberto fece parte per tantissimo tempo di una sigla tv, difficile pensare ad una rete più bella di quella».
CRESCITA CONTINUA – «La squadra era sempre stata forte e tante volte ci è andata vicino. Ogni stagione partivamo con un sogno nel cuore, il destino volle che fosse il 1991 l’anno giusto per realizzarlo. Vincemmo quasi tutti gli scontri diretti, non solo a Marassi, anche in trasferta. Due imprese a San Siro, Napoli, l’uno a zero all’Olimpico giallorosso con gol di Vierchowod, noi sempre più in testa, la Roma che s’inchina. Abbiamo patito qualche passo a vuoto, come le due sconfitte alla fine del girone d’andata, sopportato diversi infortuni, ma la squadra e Boskov, mi faccia citare anche lui, tecnico eccezionale, erano più forti di tutto. Non è presunzione, ma in quella stagione ci credevamo veramente. Doveva accadere».
RICORDI SU PAOLO MANTOVANI – «Di quel campionato, legati alla sua persona, mi piace ricordare tre momenti. Le lacrime di commozione in tv la sera della vittoria sull’Inter. C’erano emotività, gioia, orgoglio, soddisfazione e il peso dello sforzo. L’invito a non invadere il campo con il Lecce, atto di democrazia e libertà. Non voleva togliere a qualcuno, ma dare a tutti. Ogni tifoso presente allo stadio doveva godersi la passerella della squadra. Che fu lunghissima. Estasi senza problemi di ordine pubblico».
SCUDETTO DELLA SAMPDORIA – «Quando alla domanda, è lo scudetto di Genova, rispose: no, della Sampdoria. Nostro. Della nostra gente. In quegli anni di ascesa chi contava in città non lo aveva aiutato, basti pensare allo stadio demolito. E lui decise che la gioia non andava spartita con tutti. Ma solo con chi se l’era meritata».