Gli Ex
Sampdoria, Mantovani: «Menotti? Carisma pazzesco, a Genova…»
Sampdoria, l’ex presidente del club blucerchiato Enrico Mantovani parla del periodo di César Luis Menotti al Doria
Nel corso di una lunga intervista rilasciata a La Repubblica Enrico Mantovani, ex presidente della Sampdoria, ha parlato di César Luis Menotti, tecnico argentino recentemente scomparso che ha trascorso alcuni mesi in blucerchiato. Queste le sue parole:
SCELTA – «La scelta di Menotti? I suoi predecessori erano stati Boskov ed Eriksson, abbiamo cercato un tecnico che potesse avere quel livello di conoscenza, di stima e di esperienza. Eravamo abituati bene.»
ALTERNATIVE – «Erano due quelle principali: Claudio Ranieri e Falcao. Il primo, come Menotti, era già nei pensieri di mio padre e questo aspetto influì, pur non essendo certamente decisivo.»
PRIMO INCONTRO – «Avvenne a Barcellona, a casa di mio fratello, dopo esserci sentiti telefonicamente. I contatti furono fondamentali perché credevo nella specializzazione dei ruoli e, malgrado Luis fosse un tecnico della vecchia guardia, aveva già un preparatore atletico e dei portieri. Era al passo con i tempi.»
IMPRESSIONI – «Non posso immaginare un presidente che potesse non scegliere Menotti dopo avergli parlato per qualche ora. Aveva un carisma pazzesco, che poi esercitava sui giocatori.»
STILE – «Aveva grandi idee, ed era molto severo. Un episodio? Moreno Mannini aveva chiesto di ritardare mezz’ora l’inizio della giornata, perché così avrebbe potuto rispettare meglio l’orario, e Luis rispose che bastava alzarsi prima. In campo voleva una squadra alta, con tanta qualità, con marcatura a zona ed un approccio moderno.»
MOTIVAZIONE – «A Genova si è intristito: era un uomo da grande città, che amava vivere anche la notte. A distanza di tempo, devo ammettere che non avevo valutato nel modo giusto questo aspetto. Con il club o con i giocatori, però, non aveva problemi.»
MENOTTI E VERON – «Discussioni con Veron? Juan ebbe un paio di rimproveri, Menotti e il suo procuratore non andavano molto d’accordo, ma si trattava di fantasie. Luis voleva stimolare la professionalità di Veron, gli raccontava di come Maradona si addormentasse con il pallone. Considerando la lunga carriera che ha avuto Juan non escludo che quei rimproveri possano averlo aiutato a crescere, a capire quando poteva divertirsi e quando, invece, doveva essere un professionista.»
ADDIO – «Avevamo trovato subito un accordo con Menotti sull’addio: c’è stata la totale disponibilità ad aderire alle nostre condizioni. Non era dispiaciuto, l’impressione era che non aspettasse altro. Ci siamo lasciati bene. Convincere Boskov a tornare è stato facilissimo. Sono andato a Belgrado, ci siamo abbracciati e non è servito altro. Non abbiamo nemmeno parlato di soldi. Non doveva essere stravolto niente, conosceva molto bene l’ambiente, era una soluzione ideale e ha fatto molto bene.»
ERIKSSON – «Un amico, anche dopo la fine della sua esperienza a Genova. Una giornata emotivamente importantissima per Sven. Lo ammetto, ho pensato a Luca e a mio padre, che non avevano avuto questa possibilità.»
I TRE ALLENATORI – «Cosa accomuna Eriksson, Menotti e Boskov? Non cercavano mai alibi. Erano i primi a mettersi in discussione ed erano molto bravi a gestire i giocatori.»