Rossi: «L'estero? Tornerò ad allenare i ragazzini. Alla Samp gente seria» - Samp News 24
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2013

Rossi: «L’estero? Tornerò ad allenare i ragazzini. Alla Samp gente seria»

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Sempre al top, sempre di corsa. Delio Rossi è all’undicesima stagione consecutiva in panchina: Lecce, Bergamo, la sponda biancoceleste di Roma, Palermo e la Genova blucerchiata. Una sorta di primato: «Non lo sapevo. Beh, qualcosa significa – esordisce il tecnico del Doria a “La Stampa” – Nel nostro mondo non ti regala niente nessuno. Sono trent’anni che alleno, ho fatto tutte le categorie. Se continuano a chiamarmi, con la concorrenza che c’è, qualcosa di buono l’ho combinata». Dieci stagioni fa, Rossi era a Lecce, ma in A c’erano Zaccheroni, Lippi, Capello, Mancini, Ancelotti e Spalletti. Ora sono tutti all’estero e forse abbiamo perso qualcosa: «Perché? Abbiamo una scuola, siamo tanti e preparati – risponde fermamente Rossi – con una furbizia ed una duttilità tutta italiana. Ci sono le nuove leve che spingono da dietro e ti costringono a essere sempre aggiornato».

Tra queste, Liverani è appena arrivato. Suo ex fedelissimo, allenerà il Genoa nella prossima stagione: «Se gli hanno dato una panchina di A, vorrà dire che la merita – dichiara Rossi, che lo ha avuto a Palermo – Fare gavetta, però, ti dà qualcosina in più. Chi brucia le tappe forse non ha la fase di apprendistato, ma è gente preparata». Solo cinque novità rispetto alla passata stagione sulle panchine di Serie A. Poche rispetto alla solita media: «Una volta si sceglieva l’allenatore sulla base di quello che si voleva fare – chiarisce l’ex tecnico della Fiorentina – adesso di progetti se ne vedono pochi ed il comandamento è quello di spendere il meno possibile». Colpa anche della crisi, che colpisce duro i club italiani: «Anche. La Serie A ha perso un po’ di qualità, ma neanche prima era il campionato più bello del mondo – confessa candidamente Delio – ce lo dicevamo, ma non era così. Però, era e resta il più difficile, il più tattico. Da noi, l’ultima può battere la prima, mentre altrove giocano sempre alla stessa maniera».

Ci si chiede se Rossi abbia mai voluto provare l’esperienza all’estero: «Ne ho avuto la possibilità ma non mi vedo in un posto diverso dall’Italia. Sarà retorica, ma quando sento il nostro inno mi emoziono sempre – dice il tecnico blucerchiato – e poi io non ho procuratori. Chi mi vuole, alza il telefono e mi chiama». La Samp lo ha fatto a dicembre e Rossi dice di trovarsi bene: «Ho a che fare con persone serie, con gente che non vuole barcamenarsi, ma cerca di creare qualcosa per il futuro, magari partendo da un po’ più indietro – racconta l’allenatore – qui c’è storia e blasone: non puoi vivere solo di quello, ma ho voluto giocatori che, parlando di Samp, avessero gli occhi che brillavano. Sono valori che possono fare la differenza». Senso d’appartenenza e giocatori motivati sono importanti, ma ci si domanda se possano bastare: «Sì, se non sei tra le 5-6 con budget cinque volte superiore – risponde deciso Rossi – facciamo lo stesso campionato, ma non puoi competere. Un po’ per scelta e un po’ per necessità devi misurare il passo con la tua gamba. La Samp non piglia in giro nessuno e la gente lo capisce e lo apprezza».

Nel giorno del raduno, il tecnico ha detto come l’80% delle rivali è sopra ai blucerchiati: «Dico che dobbiamo partire da un obiettivo perseguibile: la salvezza. Ce la giocheremo con altre 10 rivali». Le armi, per chi ha poco, ci sono: «Devi affilare diversi tipi di armi: ingegnarsi e lavorare di più, curare i particolari. Può essere una situazione persino più stimolante, nella quale ha grande peso l’allenatore – dice Rossi, da dicembre 2012 a Genova – prenda l’Udinese: il progetto ce l’avevano anche prima, ma è Guidolin ad averlo reso vincente. Non è facile ricominciare da capo ogni anno, dopo che ti hanno venduto i migliori». Rossi è stato l’unico a battere Conte due volte l’anno scorso: «Mera coincidenza». Modestia a parte, c’era anche Icardi, ora all’Inter: «Ha qualità importanti e l’ha dimostrato. Ha bisogno però di trovare l’ambiente giusto – ribadisce il tecnico blucerchiato – c’è bisogno di aspettarli. Altrimenti, meglio puntare su un Tevez, ad esempio».

L’ultimo scudetto vinto fuori dal triangolo Milano-Roma-Torino è stato proprio della Samp, nel 1990/1991. Poche le speranze per gli outsider: «Pochissime. La storia dice che vincono sempre i soliti. Ci potrà magari essere un’eccezione episodica, ma mai un ciclo fuori dal grande giro – racconta l’allenatore del Doria – perché se da un outsider viene fuori un Cavani, lui da professionista andrà sempre da chi lo pagherà di più». Comandano, quindi, sempre i calciatori: «La legge Bosman ha cambiato tutto. Prima erano proprietà della società, ora sono imprese individuali». Per gli allenatori, invece, è cambiato qualcosa di diverso: «Visto che siamo nel periodo giusto, il modo d’intendere la preparazione del pre-campionato. Prima era la base, l’occasione in cui formare il gruppo – confessa il tecnico ex Lazio – per 20-30 giorni, al massimo, facevi amichevoli contro boscaioli. Ora magari ti tocca fare un torneo in America in nome del marketing. Senza acquisti, rinviati agli ultimi giorni, perché non ci sono i soldi». Eppure, il ritiro è importante per un tecnico: «E’ fondamentale, perché si crea la sqaudra oppure, se hai problemi, te li porti dietro tutta la stagione. Poi, al massimo, puoi solo metterci una pezza». Rossi si confessa come amante dei ritiri estivi: «Sono il massimo per me. Quando mi sono fermato, mi mancava il lavoro quotidiano e non la partita della domenica. Voglio l’odore dell’erba, amo il mio mestiere mica solo per i soldi o l’ambizione. Io mi sento prestato al professionismo: so che alla fine tornerò dove sono partito, a insegnare il calcio ai ragazzini».

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