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Raccontatemi ancora la storia di Roberto e Antonio
Ci vorrebbero due analisi distinte e separate per la partita di ieri: la prima per analizzare la partita fino al 3 a 0, la seconda per analizzare la partita dal 3 a 0 al triplice fischio; però stavolta, per celebrare e onorare la vittoria, faremo finta che sia stato tutto perfetto, lasciando poco spazio alle imperfezioni, alle note di demerito, ai dettagli che, oggi, non interesserebbero a nessuno.
Qualche settimana fa, dopo quella che fu l’ennesima sconfitta della Sampdoria di Vincenzo Montella, mi ero permesso di dire che Roma non era stata costruita in un solo giorno, utilizzando una locuzione che per quanto possa essere falsa esprime un concetto che socialmente condividiamo tutti: la fa anche la Sampdoria questa condivisione, perché effettivamente serviva del tempo, lo hanno detto tutti i giocatori in zona mista. Quando cambi possono essere due gli effetti: la difficoltà di ingranare effettivamente o la grande voglia di rivalsa che ti spinge a essere pronto subito. Nella seconda categoria rientra, per esempio, il Bologna di Donadoni, nella prima categoria rientra la Sampdoria di Montella. I primi sprazzi di gioco quest’anno li abbiamo visti in Coppa Italia, nel primo tempo contro il Milan, poi contro il Palermo, poi ieri sera col Genoa. Finalmente la Sampdoria gioca a calcio.
Gioca a calcio perché finalmente gli interpreti glielo permettono, e un po’ anche gli avversari: il primo gol di Soriano è l’emblema di come la difesa del Genoa non abbia saputo adattarsi in corsa ai movimenti degli avversari. Un po’ come quando, con le dovute proporzioni, Milito segnò la sua doppietta in finale di Champions League contro il Bayern Monaco: El Principe superava l’ultimo avversario sempre con la stessa finta e ogni volta riusciva a farcela, perché gli avversari non traevano insegnamento dalla sua consuetudine, non studiavano l’avversario. Cassano e Soriano hanno ripetuto lo stesso movimento fino allo sfinimento, fino a quando non è arrivato il gol, con gentile concessione di Burdisso: il 99 va incontro alla palla, il 21 taglia alle sue spalle. Contro questa difesa, potremmo quasi dire, è facile, ma lo diventa perché hai questi interpreti. Lo diventa perché hai uno dei pochissimi giocatori che in Serie A, se sta bene, fa la differenza. Eccome se la fa.
Ieri in tribuna stampa le ho sentite tutte, nessuno più sapeva cosa dire per esaltare Antonio Cassano: andavamo dalla più semplice “questo è il calcio” alla più elaborata “ha delle mani al posto dei piedi”. Io oramai ho finito davvero tutti gli aggettivi, perché per Cassano, lo sapete, ho parteggiato dal primo momento. Ieri sera si è sfogato in ogni modo, partendo dal “se sto bene faccio la differenza” al “partiamo tutti dallo stesso livello con Montella, con Zenga non era così”. Il malumore è stato spazzato via. Sarà pur vero che sono passati altri mesi e che FantAntonio abbia migliorato ancora di più la propria condizione, ma una delle grandi differenze nelle gestioni Zenga e Montella trova proprio sfogo proprio in Cassano. Con il primo relegato a figura ectoplasmatica, col secondo divenuto fondamentale, titolare, più sgargiante di Muriel.
E proprio su Muriel, se mi permettete di passare alacremente alle note dolenti (ché tanto le cose belle le sappiamo vedere tutti), vorrei fare una riflessione, che si estende anche a Correa. Col colombiano, che Montella ha tenuto abbracciato a sé per qualche secondo prima di farlo entrare, a mio modestissimo avviso possiamo dire di averci provato, di aver fatto tutto il possibile: dopo la gara col Carpi tutti si sono schierati a suo favore esaltando le sue movenze a quelle di Ronaldo, quello vero, ma sembrano passati anni, secoli. Ieri sera avrebbe dovuto tenere alta la squadra, far sì che la sua corsa permettesse di recuperare secondi, minuti, e battere il Genoa in contropiede, nel momento in cui si stava aprendo per tentare l’assalto: ha avuto un’occasione per farlo, ma ha preferito incaponirsi in un dribbling inutile contro tre avversari e perdere palla piuttosto che scaricare su Correa, che era lì vicino. Ha fatto tre passaggi, di numero: ha anche fatto ammonire due avversari, certo, quindi tanto inutile non è stato, ma è mancato nei momenti decisivi. Anche l’argentino, insomma, a un anno dal suo arrivo a Genova, non ce la fa a convincere. Dire ancora una volta «bisogna aspettarlo» oramai è come nascondersi dietro un dito: forse questo campionato, questa realtà non è quella di Joaquin Correa, non è quella di un giocatore costato 8,4 milioni. Probabilmente Veron non ci aveva visto lunghissimo. Lieto di poter essere smentito, come sempre, ma per ora la realtà dei fatti è che il cambio più azzardato, più sbagliato di ieri sera è stato quello tra il numero 10 e il numero 23.
Mentre Eder ha praticamente coperto la fascia sinistra, da terzino quasi, per tutta la metà del primo tempo, ha corso per tutto il campo lasciando l’attacco a Cassano e Soriano, Correa in fase di copertura ha lavorato poco, ha supportato pochissimo i suoi compagni. 9 passaggi, 4 all’indietro, 3 laterali, uno non riuscito e uno solo in avanti, tutti corti: quattro tackle, nessuno riuscito. Un tiro che definire sbilenco è un eufemismo. Non è accanimento, sia chiaro, ma semplicemente un’analisi dei fatti. Chiaramente potremmo stare qui ad analizzare gli errori anche di Moisander e Zukanovic, che nel finale di gara hanno rischiato di distruggere una partita intera, ma la lezione da imparare è che da Correa ci aspettiamo di più, Correa vorremmo non facesse questi errori perché sulle spalle ha il numero 10, ha una responsabilità. Lo abbiamo aspettato un anno, che ora venga a dirci «ok, sono pronto». Perché vogliamo che lo sia.
Intanto, a prescindere da quello che vorranno fare Correa e Muriel, noi ci godiamo questa favola che porta i nomi di Roberto Soriano e Antonio Cassano. Ché vederli giocare è qualcosa di magnifico, poterseli godere insieme è qualcosa che forse mai ci saremmo aspettati, sin da quando l’uno tesseva lodi per l’altro, con dieci anni di differenza nell’età anagrafica, con una fascia che è stata del 99 e che ora è del 21, tra gli abbracci in campo e i sogni da regalare a tutti i tifosi, a tutta la Sud. Andiamoci a divertire, ora, con la Juventus: andiamoci a godere la Sampdoria di Vincenzo Montella.