2013
Pedro Obiang si racconta a Offside Magazine: «Mi ispiro a Xabi Alonso e sogno…»
Pedro Obiang, giovane centrocampista di proprietà della Sampdoria, a Genova ha trovato l’ambiente ideale per maturare ed affinare le sue abilità calcistiche. Per la Sud e la maggior parte dei tifosi blucerchiati, lo spagnolo è un’importante risorsa per la squadra: un mix di freschezza, qualità e fantasia che ha saputo conquistare il cuore dei sostenitori doriani e, soprattutto, un posto fisso in mezzo al campo. Per la rivista Offside Magazine, il calciatore ha concesso un’intervista, che si è rivelata ricca di contenuti.
«Indosso il numero 14 da quando sono arrivato in prima squadra. E’ stata una scelta, è un numero che mi attraeva dopo averlo visto indosso a Cruyff, Guti e Xabi Alonso. Il primo viaggio che ho fatto ero con il mio agente José Miguel González, e mio padre, per vedere come erano le strutture e per sentire il progetto sportivo. Il secondo viaggio l’ho fatto solo». Si presenta così Pedro al magazine e si racconta a 360° gradi, parlando non solo del presente che sta vivendo in Italia, ma anche ricordando i primi anni da calciatore professionista con le tante sensazioni provate e i tanti pensieri che gli affollavano la mente.
«L’inizio è stato abbastanza difficile, come ogni bambino che esce di casa e cambia presto il paese. All’inizio mi disperavo perché non capivo la lingua. Dopo due mesi dissi a José: “Voglio andare, gli italiani parlano molto velocemente, mentre qui invece corriamo molto” (ride). Poi, ho cominciato ad assimilare i concetti tattici e ho iniziato a fare amicizie nello spogliatoio e mi sono iniziato a rilassare».
Su Cassano e Pazzini, ecco come la pensa Obiang, che li ha conosciuti quando ancora erano alla Sampdoria: «E’ stata una grande emozione per me. Inoltre seguivo molto Antonio a quel tempo a Madrid perché ero là allora. Quando mi allenavo con lui – ricordando i primi tempi alla Samp – mi sentivo nervoso, ma anche desiderio di voler dimostrare che ero lì per qualcosa. Era un po’ esigente, voleva sempre la palla nei piedi. Come ho tolto quella paura che avevo? I veterani mi hanno dato molta fiducia e centrocampisti come Palomo mi suggerivano di stare calmo. Anche Antonio Cassano, anche se era molto stanco durante gli allenamenti, alla fine ha sempre avuto una battuta per me, mi veniva vicino e mi parlava».
Sul salto che lo ha portato a diventare calciatore professionista, Pedro ha raccontato di aver trovato difficoltà sul piano «fisico e soprattutto tattico», spiegando come il passaggio di “livello” lo abbia portato a «fare le cose più semplici, senza colpi di tacco o tunnel».
Come si definisce il giovane centrocampista? «All’inizio ero più offensivo – ha spiegato – e ora sono un po’ un mix, perché ho imparato anche un sacco di lavoro difensivo. Chiaramente, mi piace entrare nell’area dell’avversario, ma ora il mio ruolo è più difensivo. Da quando sono in Italia – ha poi proseguito – mi sento che posso portare qualcosa di diverso per la squadra, credo di avere un segno particolare. Il mio marchio è nell’aspetto tattico e fisico. In Italia, la palla va più veloce, così i giocatori sono tatticamente in una posizione migliore e fanno più pressione. Ho dovuto lavorare molto sulla tattica, un aspetto che non avevo». Poi una rivelazione: «All’Atletico ero più avanti in campo e ho debuttato come attaccante. Ma uno dei centrocampisti si infortunò e l’allenatore mi provò lì. Da quel giorno, quella è la mia posizione. Che odiavo e odio ancora ancora (ride). Ma dicono che è la mia posizione».
E per sapere a quali giocatori si ispira, invece? «Ora a Busquets, che è il centrocampista moderno per eccellenza – ha rivelato – rende tutto più facile ed è sempre ben posizionato. Xabi Alonso è quello che mi piace di più in questo momento. Mi piace anche Pirlo, ma è un altro tipo di giocatore: gioca davanti alla difesa, ma in Italia, quel giocatore deve distribuire gioco».
Non poteva mancare anche un “grazie” alla Sampdoria, che ha creduto nelle sue potenzialità prima offrendogli un contratto e, poi, affidadindogli un posto fisso – meritato – a centrocampo: «La Sampdoria mi ha offerto un contratto da professionista, ma anche un progetto per me. Pochi mesi dopo, avevo già giocato in prima squadra. Questo progetto, essendo così particolare, ha convinto i miei genitori e me».
Poi ecco raccontati alcuni hobby, «Guardo tutte le principali partite e quelle della squadra nazionale. Penso di vedere da 15 a 20 partite l’anno. Studio anche, ma più come un hobby, perché non posso mai presentarmi agli esami. L’anno scorso coincidevano con i playoff promozione e quest’anno mi hanno colto in pieno durante le vacanze. Mi piace andare al cinema, di solito vado due o tre volte alla settimana, è l’unico momento in cui ci sono poche persone. Sono però molto concentrato per la Sampdoria», e la domanda “Quali sono le persone del mondo del calcio importanti per te?”. «Il primo – ha risposto il giocatore spagnolo di origine equatoguineana – è stato il mio scopritore, Antonio Lozano. Poi sono andato all’Atletico. Importante anche Felice Tufano, il mio primo allenatore in Italia, della squadra primavera. Dopo queste fasi, grazie a loro, anche la preparazione fisica mi è è costata meno fatica. Non dimentico Domenico Di Carlo, con il quale ho debuttato».
Sul futuro ed i sogni nel cassetto, Pedro ha raccontato di voler tornare in Liga spagnola da giocatore completo dopo aver avuto magari un’«esperienza in Inghilterra o in Germania», ma ha rivelato anche il desiderio di voler disputare la Champions League e la Coppa del Mondo, ma sottolinenado come sia necessario «procedere passo dopo passo».
Infine un pensiero e un commento sul grave fenomeno del razzismo: «E’ un problema globale. Ma più spesso viene innescato con giocatori importanti, e dipende anche dal carattere del giocatore. Un giocatore più introverso ha meno problemi».