Muriel: «Udine? Il primo colpevole sono io. Samp, che gruppo» - Samp News 24
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2015

Muriel: «Udine? Il primo colpevole sono io. Samp, che gruppo»

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Mihajlovic lo fece piangere quando arrivò a Genova semplicemente dicendogli: «Tu puoi essere un campione». Forse nessuno glielo diceva più in quel di Udine. E Luis Fernando Muriel, colombiano classe ’91, l’aveva dimenticato. Aveva rimosso che le potenzialità ci sono e che lui può diventare un campione. Lo confessa proprio l’attaccante blucerchiato in una lunga intervista concessa a “SportWeek”, dove Muriel si è raccontato tra il passato di Udine e il presente a Genova.

SACRIFICI – Con la Samp si mette anche a correre sulla fascia: «Quando uno è contento, è libero di testa e ha la fortuna di arrivare in un gruppo come questo, tutto viene naturale». Tuttavia, non si capisce che cosa l’abbia persuaso a fare un lavoro che prima non avrebbe mai fatto: «Più che convincermi Mihajlovic, sono stato io a cambiare mentalità. L’ultimo anno e mezzo a Udine è stato brutto: le incomprensioni con Guidolin, le chiacchere sul mio peso, l’infortunio, le troppe panchine… Avevo bisogno di ripartire, ricominciare da zero, anche nel modo di stare in campo. Ora neanche mi rendo conto di quanto corro».

UDINE E REAZIONE – Ci si chiede anche quanta colpa ci sia da parte sua nell’addio amaro a Udine: «Il primo colpevole sono io, non lo nascondo. Ero abituato a giocare sempre: il fatto di non farlo più con continuità ha aspento la luce nella mia testa. Ho mollato e dopo era tardi per riattaccare la spina. Ho sbagliato, ma ormai erano cambiate troppe cose e non aveva più senso restare». Il fatto di aver avuto un’infanza dura, però, avrebbe dovuto insegnare a reagire: «Il problema è che mi è venuto tutto sopra nello stesso momento. Quando ho voluto ricominciare e riprendere per mano la mia vita, non c’ero più con la testa. La mancata convocazione al Mondiale è stata la mazzata finale».

RIMPIANTO MONDIALE – In effetti, l’esclusione dalla nazionale di Pekerman – giunta ai quarti di finale di quel Mondiale – è stata dura da digerire. Anche se a 23 anni ci saranno altre occasioni…: «Però questo Mondiale si è giocato in Brasile ed esserci – per un sudamericano quale sono – sarebbe stato il massimo». Forse anche la nascita di sua figlia Maria Paula l’ha distratto dal campo: «No, anzi. Sono diventato più maturo, più uomo. Adesso si va a letto presto, sento la responsabilità di esser padre e quindi di dover fare bene anche per lei. Sono giovane, ma non più bambino: mi rendo conto di non poter perdere altro tempo. Non sono all’ultima spiaggia, ma so che – se dovessi fallire ancora – certe opportunità potrebbero non ripresentarsi».

SAMP E MIHAJLOVIC – Alla Samp arrivò infortunato, tanto che sembrò che l’affare potesse saltare, ma Mihajlovic cambiò tutto: «Le racconto una cosa che non ho ancora detto a nessuno. Il mister chiese di incontrarmi quando ancora non avevo firmato il contratto. Mi disse: «Voglio che tu torni a sorridere. Con me diventerai il campione che tutti aspettano». Non avrei mai immaginato di sentire quelle parole. Mi sono sentito desiderato e pieno di orgoglio dopo tanto tempo. Quando le riferii ad Alessandro Lucci, il mio procuratore, scoppiai a piangere». Muriel ha compiti precisi: «Di provare le mie giocate, puntare l’uomo e andare dritto in porta. Più di tutto, di scattare. Gli piace quando piazzo lo sprint sui 30 metri e poi faccio un gol come quello alla Roma, qualche settimana fa».

SEGRETI E GRUPPO – Mihajlovic si arrabbia sopratutto per una cosa: «Con me, quando spalle alla porta non riesco a proteggere il pallone per far salire la squadra. Quando perdo palle facili s’incazza proprio. Con la squadra, quando sbagliamo cose semplici». E quando il serbo urla…: «...diciamo che non è bello da vedere». Il tecnico della Samp però ha una grande forza: «Fa sentire tutti importanti. Tutti contenti, anche quelli che non giocano. Basta vedere come esultano quelli in panchina quando chi sta in campo fa gol. Questo è il segreto di Mihajlovic e della Samp».

EL TAXI PER IL SUCCESSO – A Genova Muriel è felice per tutto: «Svegliarmi, aprire la finestra e affacciarmi sul mare. Ne avevo bisogno. A Santo Tomas, la mia città natale, sono cresciuto in sua compagnia. Poi questo gruppo: nello spogliatoio c’è allegria. Ogni giorno prima dell’allenamento qualcuno mette la musica. Una volta è Duncan con quella africana, un’altra è De Silvestri con quella elettronica, un’altra ancora sono io con quella colombiana». E gli altri gradiscono: «Anzi, ho fatto loro sentire una canzone, El Taxi, che è diventata la nostra colonna sonora. La balliamo ogni volta che facciamo gol. La canzone parla di una ragazza che conosce un ragazzo su un taxi. Il ballo consiste proprio nel gesto che si fa con la mano quando si vuole fermare un taxi. Festeggiamo sollevando il pollice».

COMPAGNI D’ATTACCO – Al primo allenamento c’è stato l’approccio con Samuel Eto’o, che gli ha dato un messaggio preciso. Una sorta di complimento: «Sei troppo veloce. Mamma mia, quanto sei veloce». Se Muriel è tecnica in velocità, Eto’o è…: «Un giocatore completo, che magari rispetto a me – che sono più giovane – si muove meno e tocca meno palloni, ma quei pochi li fa diventare decisivi». Ancora diverso è Éder: «Forza, velocità, tiro… tutto. A fine allenamento ci sfidiamo sulle punizioni: calcia veramente forte».

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