2014

Momenti Blucerchiati – L’esordio di Paolo Mantovani

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Paolo Mantovani non era nato a Genova. Romano e laziale, non nacque di certo sampdoriano, anzi. Probabilmente dobbiamo ringraziare la sua appendicite, operata al Gaslini da bambino, altrimenti non avrebbe conosciuto Genova e non se ne sarebbe innamorato. E se questo fu il suo primo contatto con il capoluogo ligure, il secondo avvenne per lavoro, nel 1955, quando accettò di trasferirsi, con entusiamo, da noi, negli uffici genovesi della Cameli Petroli. Ma anche in questo caso, l’accostamento alla Samp non fu così spontaneo e naturale. Addirittura sottoscrisse un abbonamento biennale al Genoa, ma ne rimase deluso, fortunatamente per noi, ed iniziò successivamente a seguire le sorti dell’altra squadra cittadina, fino ad appassionarsi e ad entrare in società come addetto stampa nel 1973.

Un arrivo dalla porta di servizio, quindi, che comunque lo conquistò totalmente, tanto da classificare, pare, tutti i giornalisti che avevano a che fare con la squadra, stilandone una sorta di pagella. Presto però si stufò di un mondo che non sentiva ancora suo. Lolli Ghetti, ai tempi presidente, non gestiva certo la società con oculatezza, e sperperava, male, i soldi a disposizione. Gli anni di pausa gli servirono per la sua escalation nel campo petrolifero. Assieme a due soci, Lorenzo Noli e Mario Contini, fonda la Pontoil, ed in breve fece schizzare alle stelle l’utile societario, addirittura da pochi milioni a diversi miliardi di lire. Ed è in coincidenza di questo “sprint” che il 6 Giugno del 1979 decide di fare di testa sua anche nel mondo del pallone e rileva la Sampdoria, amministrandola classicamente da padre­padrone (e facendone in questo modo la fortuna). Mantovani vive il suo primo periodo in sella all’azienda in un momento di grande preoccupazione personale. La neo nata Pontoil, infatti, risulterà al centro di un’inchiesta giudiziaria per evasione fiscale, truffa, costituzione di attività finanziarie all’estero e successivamente anche contrabbando di petrolio. I soci scappano all’estero. Lui invece decide di rimanere, affrontare le avversità e seguire ancora più da vicino le vicende del Doria. Durante una trasferta viene colpito da un infarto, a Cagliari. Costretto a trascorrere la convalescenza a Ginevra, si sente un leone in gabbia. Non ascolta diagnosi infauste che gli danno pochi mesi di vita e vola negli Stati Uniti per farsi operare da un luminare del settore.

Ed ecco che tutti i nodi vengono al pettine, sciogliendosi. Esce pulito dall’inchiesta giudiziaria, torna fortificato nel fisico, e si ritrova Vujadin Boskov come allenatore. La scalata allo scudetto può iniziare. Di certo l’impatto con la realtà calcistica, a lui estranea, abituato a ragionare da imprenditore nell’era di un Lolli Ghetti che trattava la Sampdoria come poteva (e cioè male) non fu semplice. Dovette entrare nei meccanismi, farsi volere bene, lui foresto e laziale e con un trascorso addirittura da genoano. Eppure finì per essere la figura più importante nella storia della società. Le apparenze, spesso e volentieri, ingannano. E parecchio.

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