2013

Mihajlovic: «Samp prima di tutto e tutti. Non perderò questa guerra»

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Una lunga intervista quella concessa da Sinisa Mihajlovic ai colleghi de “Il Secolo XIX”, in cui il tecnico serbo ha spaziato moltissimo su tutto quello che riguarda il suo passato (più lontano e più recente) ed il suo futuro. Tra Stella Rossa e nazionale, tra Inter e Lazio. Ma ora la sua testa è concentrata sulla Samp: «I giocatori mi stanno seguendo e questo è il punto fondamentale, vederli convinti di quello che fanno. Ho lavorato molto sulle teste, c’era bisogno di tirarli un po’ su, di ridargli fiducia e ritrovare la tranquillità – esordisce il tecnico – Senza testa, fiducia e tranquillità non si va da nessuna parte. Ma sopratutto senza convinzione. Mourinho ha schierato Eto’o terzino destro perché è riuscito a fargli capire che, in quella partita, era utile per la squadra che giocasse lì». A gennaio, inoltre, Mihajlovic avrà una buona parola sulle mosse di mercato blucerchiate: «Del mercato, ovviamente, parlo con la società. Sono arivato da poco, ho appena iniziato a conoscere i giocatori – dice l’ex giocatore di Inter, Samp, Lazio e Roma – Con qualcuno ho parlato singolarmente… adesso c’è la Coppa Italia e darò spazio a chi finora ne ha avuto di meno».

Del resto, la rosa è molto ampia: «Trenta, trentuno giocatori sono tanti: si gioca in undici. Per noi allenatori è brutto costringere qualcuno alla tribuna e ogni partita devo farlo con cinque o sei – racconta Mihajlovic, insediatosi da due settimane sulla panchina del Doria – Per un giocatore è brutto dovere aspettare un’occasione ogni tanto. Bisogna adeguarsi alla situazione, bisogna sfoltire». Con cinque partite alla fine del girone d’andata, passare la boa a quota 18 punti sarebbe adeguato: «Quando sono arrivato a Catania, avevamo nove punti e la prima partita la perdemmo in casa contro il Livorno. E alla fine ci siamo salvati con buon anticipo. Adesso non siamo nella condizione di poter fare ragionamenti sulla classifica, ma solo di concentrarci sulla prossima partita, che è il Catania. Poi sarà il Chievo, poi il Parma… – dice Mihajlovic, elencando il prossimo calendario della Samp – Sono sicuro che più lavoreremo, più assimiliremo quello che voglio e più arriveranno i risultati, che sono quelli ti danno fiducia e coraggio. Ci vuole anche un’altra cosa a volte: un po’ di culo. Anche se è quello sul quale non possiamo fare affidamento».

Ci si chiede se la Samp si salverà: «Ci saranno momenti difficili nella nostra stagione, ma mai dovremo smettere di credere o esser convinti che ci salveremo. E dovremo mettere da parte ogni tipo di personalismo, discorsi sul mercato o contratti – profetizza l’allenatore blucerchiato – La Sampdoria viene prima di tutto e tutti». Un Mihajlovic che ha già detto che non vuole dare a nessuno la soddisfazione di vederlo retrocesso o sconfitto in una guerra: «La mia vita è un susseguirsi di battaglie e guerre; a volte, me le creo anche da solo. Ad esempio, qui al “Mugnaini”, corro da solo un’ora al giorno e penso. Mentre corro, una vocina mi dice: «Ma perchè continui a correre, chi te lo fa fare… fermati, fermati…». Non mi sono mai fermato – dichiara il tecnico serbo, che ha già allenato Bologna, Catania e Fiorentina in A – Non mi piace perdere, nemmeno quando gioco a carte. Ho perso qualche battaglia, ma mai la guerra. Nella vita professionale e in quella privata. Potrà anche succedere che un giorno tra qualche anno ne perderò una… ma anche no».

Tecnicamente, è un figlio della scuola di Mancini: «Per il lavoro sul campo, è quello che mi ha insegnato di più. Ma sono diversi gli allenatori dai quali ho cercato di prendere qualcosa: Zaccheroni, Zoff… Beh, Sacchi. Quando ero a Firenze, ogni due settimane andavo a trovarlo a Coverciano, dove si parlava di calcio, ovviamente – commenta Mihajlovic – A me davano fastidio gli allenatori che, dopo una sconfitta, erano “morti” o tristi. Io lo dico sempre ai miei giocatori: mi potrete vedere incazzato, ma triste mai». A proposito di rabbia, il suo “codice etico” era già famoso in Serbia, ora potrebbe apportarlo alla Samp: «E’ successo che, in una partita, Kolarov e Ivanovic non hanno fatto quello che gli avevo chiesto. Non l’hanno fatto apposta, però abbiamo perso e non va bene. E li ho lasciati fuori. Io sono cresciuto nella scuola dell’Est: a quei tempi, quelli del comunismo, il giocatore di calcio era un po’ come un soldato, doveva obbedire e basta – racconta il serbo, giunto in Italia all’inizio degli anni ’90 – Quando sono arrivato da voi, mi sono accorto che qui i giocatori invece parlavano con l’allenatore. Io oggi capisco se un giocatore chiede spiegazioni, ma poi deve fare quello che gli chiedo. E’ primario e non transigo. Senza disciplina, non si va da nessuna parte, nel calcio e anche nella vita. E comunque, ho sempre parlato chiaro con tutti: si può discutere il Mihajlovic allenatore, ma non l’uomo».

Il calcio, per lui, è come una partita a scacchi: «Sì, perchè vivi di mosse. Proteggi il re, attacchi la regina, muovi il pedone – dice il tecnico blucerchiato – Un libro di calcio ad esempio è anche “L’arte della guerra” di Sun-Tzu». Mihajlovic è anche l’uomo che ha fatto esordire ben sedici giocatori sotto i 21 anni nel suo periodo con la nazionale serba: «Alcuni dei quali non giocavano neanche nei loro club e ora tanti sono in Champions. Io guardo prima le qualità e poi l’età – commenta il tecnico su quelle scelte – Mi criticavano perché non chiamavo veterani come Krasic. Io c’ho messo le palle e tutti si sono ricreduti. Ora penso che, con questa generazione, la Serbia potrà essere una delle protagoniste del prossimo Europeo». Ci si chiede se ha già avuto modo di rivivere qualcosa della sua Genova: «Ho avuto dei flash. Ad esempio durante il tragitto in pullman dall’Astor al “Ferraris” oppure qui al campo – racconta Mihajlovic – Non ricordo ancora bene le strade, anche se Genova ne ha praticamente due: Corso Italia e Corso Europa. Se padroneggi quelle, arrivi quasi ovunque». Una curiosità sul finale sul fischietto: «Che fa un suono di cacca? Lo so, ce ne aveva uno simile Boskov. E’ d’argento, un regalo del “Mancio” quando sono diventato suo vice all’Inter – chiude Mihajlovic – E lo porto sempre con me».

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