2014
Mihajlovic: «Alla Samp decisivo il lavoro psicologico. L’Inter? Esperienza fondamentale…»
Oggi pomeriggio, alla Feltrinelli di via Ceccardi, Sinisa Mihajlovic è stato ospite all’evento di presentazione del nuovo libro di Dan Peterson e di Dino Ruta. Il tecnico di Vukovar ha risposto ad alcune domande sul suo modo di gestire lo spogliatoio e la sua visione della leadership.
Primo argomento è stato quello sulla sua stagione in blucerchiato: «Quando sono arrivato a novembre la prima cosa importante è stata la testa perché è importante dare certezze a dei ragazzi giovani che si trovavano in una situazione difficile, ma ne sono venuti fuori mettendosi a mia completa disposizione. Devi essere leale con loro e saperli motivare lavorando soprattutto sulla testa, dal punto di vista psicologico, anche se ogni giocatore ha il suo carattere e devi essere bravo a comunicare individualmente trovando le parole giuste».
Poi il focus si è spostato sulla difficoltà del mestiere di allenatore: «Nel calcio c’è poco tempo per lavorare. Tanti allenatori vengono esonerati dopo due, tre partite perse, non gli viene dato il tempo di lavorare e far crescere i giovani: il nostro lavoro è da matti».
Altro dibattito affrontato è stato quello sulle differenze tra giocare e allenare: «Quando eri giocatore pensavi a te stesso, mentre da allenatore devi considerare tutto, i giocatori, il direttore sportivo, i giornalisti ed i tifosi. La mia esperienza all’Inter? E’ stata fondamentale in quanto gestivo lo spogliatoio e se qualcosa non andava ero io a rimettere le cose a posto con gente di grande carisma come Ibra, Vieira, Samuel o Zanetti. Per assurdo motivare giocatori delle squadre più piccole è più facile che farlo con dei campioni più affermati che sono già arrivati».
Infine un curioso aneddoto riguardante la sua vittoriosa esperienza in Coppa dei Campioni nel 90-91: «La finale del ’91 tra Stella Rossa e Olympique Marsiglia fu una partita bruttissima in cui il nostro tecnico, Ljupko Petrovic (ndr), ci disse che l’unico modo per vincere era dare la palla agli avversari, attenderli e ripartire. Non ci fu un tiro in porta e vincemmo ai rigori perché i francesi erano più nervosi in quanto da favoriti non erano riusciti a vincere prima».