2013

Maresca: «Le porte chiuse non ci spaventino. Soffrire fa parte del mestiere»

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Domenica a Cagliari si giocherà a porte chiuse, per la prima volta in stagione per la Sampdoria: i motivi sono legati all’inagibilità della IS Arenas, stadio che sta dando non pochi grattacapi alla società sarda in questo periodo. A commentare la vicenda è Enzo Maresca, intervenuto ai microfoni de Il Secolo XIX: «Ho giocato tre volte a porte chiuse. La prima fu nel 2001 con il Bologna a casa dell’Inter, ma a Bari. Avevano San Siro squalificato per il motorino lanciato in curva. La seconda volta è stata in Spagna nel derby tra Siviglia e Betis per i quarti di finale di Copa del Rey. C’erano stato un lancio di oggetti in campo e la partita fu sospesa. Gli ultimi 33 minuti li giocammo nello stadio del Getafe. La terza volta è del 2009: un Preliminare di Champions League con l’Olympiakos, in Grecia».

«Ovviamente è una cosa strana: senti un clima particolare. Il Cagliari dovrebbe essere abituato e noi dobbiamo capire che dietro quel silenzio surreale ci sono comunque tre punti da portare a casa. L’assenza del pubblico non dovrebbe influire sul nostro stato d’animo. La mia condizione? Il calcio mi insegna a dare sempre il massimo in qualsiasi occasione: mi alleno con serietà e professionalità e ho un grande rispetto per la professione, per chi mi paga e anche per me stesso».

«Sono arrivato qui sapendo di dover lottare per la salvezza. Non voglio gloria perché quella l’ho già avuta, grazie a Dio. Mi piacerebbe giocare sempre, ma questo piace a qualsiasi giocatore. Mi sto trovando bene e questa realtà mi piace: purtroppo è venuto a mancare il presidente, ma la famiglia sta dando continuità al nostro progetto. Ora la squadra ha trovato un buon equilibrio, ma bisogna pensare partita dopo partita perché bisogna mantenere alta la concentrazione. I tifosi? Ho un ottimo rapporto con loro: mi hanno dato affetto quando giocavo e anche ora che non gioco. Uno per strada l’altro giorno mi ha detto che quando le cose andavano male mi hanno fatto tirare la carretta e ora che va tutto bene non mi fanno giocare: il calcio è fatto anche di queste cose. Se ho vinto tanto però significa che ho vissuto anche momenti con questi. I miei nove titoli non me li ha regalati nessuno: la sofferenza sportiva c’è sempre».

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