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2015

L’ultima uscita

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L’arroganza è un atteggiamento che non ho mai digerito, comprendetemi. L’arroganza l’ho sempre ritenuta come la peggiore delle accezioni della manifestazione dello stato umano, il disdegno verso il prossimo, la mancanza di rispetto, quella che Walter Zenga ha avuto in questi suoi cinque mesi alla Sampdoria. Non penso nei riguardi della squadra, che sicuramente sarebbe scoppiata da tempo se così fosse stato, quanto nei riguardi degli addetti ai lavori, direttamente o indirettamente. Ricorderò sempre la sua conferenza dopo lo 0 a 4 di Torino contro il Vojvodina, così come ricorderò quella dopo l’amichevole col Trapani a Pinzolo, pareggiata contro un sempre onesto e disponibile Serse Cosmi. Una domanda sul modulo, sulla difficoltà di come aveva schierato il centrocampo, e una risposta urlante: «Non diciamo cazzate». Gli sguardi, le repliche che lasciavano sempre sottintendere «se io sono qui è perché io ne capisco, e se tu sei lì significa che non ne capisci» a chiunque gli facesse una domanda su un giocatore, su un modulo, senza dimenticare il «sono stato solo fortunato, di calcio non capisco niente» con un sorriso spocchioso in una conferenza stampa, dinanzi a dei professionisti chiamati al loro lavoro. 

Questo, purtroppo, è il ricordo che mi rimarrà di Walter Zenga. Questo, purtroppo, è il ricordo che ho dell’allenatore che ci ha costretti a un’eliminazione terribile dall’Europa League, che ha provato ad addrizzare la situazione nel corso della stagione, perseguendo un ruolino di marcia che gli permetteva di raccogliere punti in casa e di perderne in trasferta. Fino a quando gliel’hanno concesso, fino a quando il calendario non gli è andato contro: perché alla pausa, a quella che fu fatale anche a Delio Rossi, la dirigenza ha deciso di muoversi nell’unica direzione plausibile. Sollevarlo dall’incarico. Una decisione che andava presa, chissà, molto prima, ma che si è voluto protrarre, procrastinare per dare un’altra opportunità, un’altra occasione, per non mandare a monte una scelta compiuta nel giugno scorso. Che poi, la Sampdoria lo sa, perché è vittima dei ricorsi storici: quando si sceglie un allenatore per l’Europa, a Genova, si sbaglia. 

Non venitemi a dire, ora, che ho il coraggio di dire queste cose soltanto perché Walter Zenga non è più l’allenatore della Sampdoria, non venitemelo a dire, perché risulterete falsi e bugiardi. L’ho detto a più riprese, nel privato e nel pubblico, che fosse a TeleGenova durante Calcio Totale una settimana fa, che fosse a RadioDay dopo la gara col Frosinone, a Radio Bellla & Monella prima della partita con l’Hellas Verona e mi perdonino gli altri che non mi sovvengono e che mi hanno chiamato in questi tre mesi di campionato: c’era una squadra senza anima a scendere in campo, una squadra senza un gioco. Una squadra costretta a vivere di lanci lunghi da Viviano e di speranza nei piedi di Eder. Eppure questa è indubbiamente una delle Sampdoria più forte che abbiamo visto in questi ultimi anni: Mihajlovic con una rosa, sulla carta, meno forte è riuscito a ottenere l’Europa League, non sul campo certo, ma l’ha ottenuta. 

Ci sono voluti cinque mesi per esonerare Walter Zenga e questa è forse la colpa più grave che va imputata alla dirigenza della Sampdoria, più grande dell’averlo scelto, perché si sarebbe potuto riparare all’errore prima di oggi, prima di aver raccolto 16 punti in 12 partite. Non gli diremo che ha fatto un’uscita a vuoto Walter Zenga, perché l’arroganza, come detto, non è un atteggiamento piacevole e quella di Varriale non fu da meno, non gli rivolgeremo alcun tipo di offesa perché non sarebbe giusto nei confronti di un professionista: si analizzano soltanto ed esclusivamente i fatti. Questa Sampdoria, questa sua Sampdoria, nonostante sulla carta fosse la più forte degli ultimi anni è stata sicuramente la più brutta da veder giocare in questa Serie A bis, forse dai tempi di Ciro Ferrara. A Zenga diamo l’onere di esser stato bravo a lanciare un giovanissimo come Pedro Pereira, di aver finalmente capito che la Sampdoria vive anche senza Vasco Regini e di aver dato continuità al percorso di crescita di David Ivan. Ma, come potete ben vedere, sono tre elementi che, dinanzi alla qualità dei tre giocatori appena citati, avrebbe potuto notare ed esaltare chiunque. Magari mettendo il tutto insieme a uno schieramento logico, a delle soluzioni tattiche interessanti. Invece qui di tattica c’era solo quella che Cassano poteva tranquillamente evitarsi. 

Che dal Friuli nasca il nostro riscatto, adesso.

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