2015
Il pagellone di SN24 – Sergio Romero
I grandi campioni si vedono nel momento del bisogno, forse solo in quello visto l’andamento dell’ormai ultima stagione in blucerchiato per Sergio Romero. Un portiere da sempre in balia delle voci di mercato di un procuratore che ambisce al meglio, quando il meglio già potrebbe averlo, e del sogno Nazionale che deve continuare senza interruzioni: questo l’auspicio dal suo passaggio al Monaco, con un Mondiale disputato nonostante le tre presenze in Ligue 1 e, con esso, un secondo posto e la qualifica di vice-campione del Mondo.
Che il vice non sia aleatorio, però, in quanto non debba distogliere l’attenzione dalla professionalità dello stesso Romero. L’argentino, alla fine, è rimasto: il malcontento per una destinazione non trovata, malgrado l’esperienza in terra sudamericana la quale avrebbe dovuto intasare la mail di notifiche, e il pensiero fisso di altri mesi da separato in casa. Una situazione non idilliaca per uno del suo ruolo, che tuttavia non ha espresso nemmeno una parola e si è subito fatto trovare pronto. Nemmeno il tempo di scaldarsi e dentro, quasi a freddo, il 19 ottobre 2014 per l’infortunio rimediato da Emiliano Viviano: a Cagliari finirà 2-2, nessuna colpa sulle due reti subite. La partita da salvare non era questa, bensì quella contro la Roma, dove un suo intervento prodigioso sul colpo di testa di Florenzi resterà impresso nella sintesi di riepilogo. La giusta punizione arriva al contempo contro l’Inter, l’unica squadra ad aver battuto Romero in questo breve tratto da titolare; la prima col rigore siglato da Icardi allo scadere, la seconda in Coppa Italia, sancendone l’eliminazione. Si rifarà contro la Fiorentina, vittoria interna per 3-1 e un altro tiro dal dischetto neutralizzato. Da lì in poi altri cinque pareggi, alcuni giustificati, altri un po’ meno, è una vittoria a Verona: contro Cesena e Udinese la squadra avrebbe dovuto osare maggiormente, dopotutto i punti guadagnati con Juventus, Milan e Napoli permettono alla Sampdoria di sognare ancora.
Lassù, così in alto che nessuno avrebbe mai immaginato. Il bottino personale, d’altronde, sorride oltre ogni aspettativa al Chiquito, che sapeva di non trovare evidentemente spazio all’interno delle gerarchie di Sinisa Mihajlovic. Lui stesso lo dichiara, lui stesso vuole però dimostrare quel senso di responsabilità che lo ha contraddistinto, senza mai annullare le poche dichiarazioni rilasciate in pubblico. Un senso di attaccamento alla maglia che va premiato, ora che questa maglia potrebbe non stare più sulla sua pelle. Magari affissa alla parete di casa, chissà. È bello pensarlo, perché è il finale a lieto fine che tutte le storie importanti vorrebbero avere, non offrendo al caso ciò che non gli appartiene. E allora perché rinnegare anche il vero significato di campione, evitando dunque di attribuirlo in maniera disparata al primo avventuriero e sovvertendo di conseguenza ogni schema logico. Giudicare un uomo dai propri errori è semplice, la difficoltà sta nel scorgerne le potenzialità a lungo termine. E Romero, una seconda opportunità, l’ha ottenuta e sfruttata al meglio.
Un 6,5 più che meritato, iscritto in un bigliettino di addio che lo accompagnerà sino alla prossima meta, la medesima in grado di offrirgli più tranquillità e maggiori garanzie per farsi rimpiangere. Giacchè l’obiettivo, purtroppo, è questo.