2015
Il cuore non basta
Ora sì, ora per centrare l’Europa serve davvero un’impresa. Serve dopo aver stupito tutti per quasi tre quarti di campionato, serve dopo essersi fatti male da soli per troppo tempo, nell’ultimo periodo. Contro la Juventus forse si poteva pensare che il cuore sarebbe bastato. Beh, chi lo pensava purtroppo si è sbagliato. Una Sampdoria di nuovo incartata, spinta solo dall’inerzia in certi momenti del match perso per 1-0 contro i bianconeri. Una squadra che oggi non è in grado di andare oltre qualche sprazzo di luce intermittente, manovrato dai muscoli più che dalla testa. Un gruppo in apnea, insomma, mancanza d’aria che gioco forza si è andata a ripercuotere sull’ambiente tutto.
Mihajlovic a fine gara ha detto: «Bisogna crederci, serve fiducia». Voglio un bene immenso a Sinisa, un bene misto a gratitudine per quanto fatto dal giorno del suo arrivo, ma stavolta credergli appare davvero difficile. Anche perché, soprattutto, il primo che forse sembra non crederci davvero più è proprio lui. Peccato, mister. Lo dico prima che finisca il campionato. Lo dico con la speranza di essere smentito, almeno nel risultato finale: se sarà Europa gioiremo tutti, ovvio, ma senza scordarci cosa c’è stato dietro, nel bene e nel male. Il percorso verso le stelle, mai così lontane come oggi da inizio anno, doveva e poteva comunque essere diverso. Questo lo si può dire, senza dubbio, già ora.
Salvo miracoli nella preparazione in vista di Udine, mi duole molto dirlo, la Sampdoria di questo finale di stagione ormai si presenta così: spompata, e alla fine ci può stare, ma al contempo pure confusionaria, senza un’idea di gioco e quasi senza basi, retta su fondamenta fragili. E questo invece non può starci. Non a quattro turni dal termine del campionato. Non è un caso, sulla base di quanto detto, la rimonta delle avversarie: il Genoa gioca e ha benzina, il Torino ha un’identità precisa, l’Inter ha individualità superiori e blasone. La Fiorentina forse rappresenta il punto interrogativo più grosso, ma con due posti disponibili c’era già da fermarsi alle prime due squadre elencate. In un momento così è poco opportuno distruggere tutto, ci sarà tempo e modo semmai dopo il 31 maggio. Su questo siamo tutti d’accordo, credo, ma riavvolgo il nastro da inizio aprile e penso che sarebbe quantomeno stupido non analizzare responsabilità e demeriti di tutti, facendo nomi e cognomi. In fondo siamo qui anche per questo. Prima però riavvolgiamo il nastro, come dicevo: sconfitta a Firenze, pari a Milano dimostratasi poi terra di conquista per molti, pari interno col Cesena, disastro a Napoli, pari in casa contro un Verona già sazio, sconfitta casalinga di fronte alla Juve campione, sì, ma con la testa per tre quarti proiettata al Real Madrid. Tre punti in sei gare, il gol che è miraggio ormai, la manovra assente e il vuoto incolmabile lasciato da Eder. Sul banco degli imputati l’uomo a cui ho sempre attribuito i maggiori meriti: Sinisa Mihajlovic.
Il mister oggi paga errori che affondano le radici più in là, a pensarci bene. Moduli alternati a capricci dopo la partenza di Gabbiadini, voci di mercato mai smentite e anzi il fascino dei rumori di fuori. L’ultimo pieno in occasione del Derby, peraltro una fortuna non giocarlo quando andava giocato, su questo è giusto essere onesti. Quei tre giorni in più a separare la stracittadina dal tonfo di Verona col Chievo (altri tre punti gettati via nel girone di ritorno, toh) valsi un ottimo pari con gigante iniezione di fiducia annessa. Da lì più i singoli a trascinare: Eto’o con una certa costanza, l’Eder azzurro, Muriel a sprazzi (tra l’altro troppo pochi Luis, così non va) e poco altro. Risultati importanti ma contornati da voci, sempre troppe e mai zittite, mi ripeto, poi la pausa e la pancia piena, chissà cos’altro mi piacerebbe capire. Posso solo immaginare, perché nello spogliatoio io non ci sono: se il timoniere ha la mente sporcata, dico, difficilmente la ciurma risponde presente, specie se il mare della classifica da calmo diventa in tempesta nel giro di poche settimane. Per questo vorrei una reazione da qui alla fine: non tanto perché l’Europa League rappresenta il sogno per cui non dormo la notte, quanto piuttosto perché vedere tanta bellezza sprecata (perché la Samp era bella, magari più cinica che spettacolare ma bella, nessuno può dire di no) mi infastidisce tremendamente. E comunque non c’è solo il mister, sia chiaro.
E’ innegabile infatti che da alcuni elementi fosse lecito aspettarsi di più. Parto dagli attaccanti. Punte che non segnano, difficile andare lontano. Pollice giù per Muriel, ancora discontinuo, idem per Okaka, incartatosi pure lui dietro a mille voci (queste maledette) e tornato quello che Genova, in fondo, non aveva mai conosciuto. Bergessio meno impiegato, verissimo, ma pure lui non può essere salvato. Salvo invece Eto’o, anche se pure lui poteva essere impiegato meglio fin qui. Poi Soriano, spentosi dopo la chiamata della Nazionale. La mediana un poco in tutti gli elementi, comunque pure questa mal gestita nell’alternanza delle pedine: troppa discontinuità nella scelta dei tre in mezzo e l’esclusione improvvisa di Acquah, che ha fatto perdere continuità al ragazzo nel suo momento migliore. Idem vale per la corsia difensiva di sinistra, col giochino Regini-Mesbah non sempre gestito con lucidità.
Insomma si doveva e si poteva fare di più. Soprattutto, sottolineo, si doveva. E il fatto che la Samp sia ancora in corsa per l’Europa, nonostante gli enormi errori fatti nell’ultimo mese, è forse il dato più emblematico di quanta bellezza si sia gettata via. Bellezza che avrei conservato e protetto volentieri.
Mi viene da citare Baricco, non uccidetemi. Baricco che, in uno dei suoi romanzi, scrive: «Sia clemente il castigo, per tanto spreco. E accorto l’angelo che veglia sulle nostre solitudini». La clemenza del castigo la vedremo a partire da Udine. Dove di certo il cuore, solo quello, non basterà più.