2013

Icardi: «Per ora sto bene alla Samp. Il Barcellona…»

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E’ l’uomo del momento, ma è ancora a Bogliasco, nonostante gli incontri con il C.T. Sabella: Mauro Icardi si aspettava di essere in nazionale, invece, il selezionatore argentino l’ha pensata diversamente. Così, Icardi viene intervistato dal Secolo XIX, al quale ribadisce l’attenzione totale alla Samp: Io sono un giocatore della Sampdoria e non penso ad altro: i miei pensieri sono solo per la squadra, sul futuro non so cosa accadrà. Come nasce la passione per il calcio? «Mio padre, Juan, giocava con Mario Kempes nel Rosario Central: anzi, con lui condivideva la strada per l’allenamento. Mio padre non aveva l’età per la patente e così Kempes lo passava a prendere in macchina e andavano insieme al campo. Quando poi è morto mio nonno, papà ha smesso di giocare e si è messo a lavorare: quando aveva qualche soldo da parte, mi comprava un paio di scarpe da calcio. Ricordo le prime, delle Puma King gialle e blu».

Un’Argentina che Icardi e la sua famiglia lasciarono molto presto: «C’era una crisi spaventosa, ma non era il vero problema. I miei genitori avevano il lavoro, ma le città erano diventate pericolose; così, abbiamo raggiunto mio zio alle Canarie, dove si era stabilito. E’ stato difficile, perché non sapevamo cosa avremmo trovato, ma eravamo coscienti di ciò che lasciavamo in Argentina». Tuttavia, il passaggio in Spagna ha fatto sbocciare il suo talento: «Ho cominciato a giocare nel Vecindario ed il mio record c’è ancora: feci 124 gol in una stagione con i Benjamin (equivalente spagnolo della categoria Pulcini, ndr). Poi è arrivato il Barcellona: mi sono trasferito da solo, sono stato senza famiglia e lì ho capito che potevo farcela a sfondare».

Ma al Barca non c’è spazio per i centravanti come Icardi e così è arrivata la Samp: «Ricordo come incontrammo il d.s. Pecini e, con il mio procuratore, decidemmo di andare; a Barcellona, tutti conoscevano la Samp per via della finale di Champions del 1992. Poi sapevo di Palombo e Cassano; in più, l’Italia poteva essere il posto migliore per crescere. Insomma, sembrava la scelta giusta, così siamo venuti in Italia. In Primavera c’era Bruni e ho corso per mesi: il calcio italiano è più duro, più difficile. Tuttavia assomigliava di più a quello argentino, perché è molto tattico». Si parla di obiettivi: «Non ho fatto scommesse con nessuno, ma sarebbe bello arrivare in doppia cifra, visto che sono così vicino».

L’esultanza con le mani alle orecchie è un suo marchio di fabbrica: «E’ venuta in maniera istintiva, è una risposta alle urla dello stadio. Solo dopo che l’ho fatta, ho saputo che anche Flachi faceva così. Del resto, è arrivata nel derby, uno dei momenti migliori della mia carriera insieme alla doppietta fatta a Torino. Nelle ultime partite ho fatto più fatica, però è normale: i difensori hanno imparato a conoscermi, quindi sanno meglio come fermarmi». Si torna anche sulla questione nazionale: «Sono contento delle parole di Prandelli, ma io sono argentino e quindi voglio giocare con l’Argentina. Ho parlato con Sabella e ha detto che mi convocherà se continuerò a segnare in questa maniera».

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