Editoriale
Quando Fabio Quagliarella si riscoprì essenziale
Quest’anno ha segnato meno solo di Icardi e di Immobile: ha infranto il suo record di gol stagionali e lo ha fatto a 35 anni. È Fabio Quagliarella.
Era palesemente un altro calcio quando Fabio Quagliarella arrivò alla Sampdoria: era il calcio delle comproprietà, quelle che avevano permesso al Doria di ottenere la metà dei cartellini sia dell’attaccante di Castellammare di Stabia che di Mirko Pieri; era il calcio che salutava Francesco Flachi, fermato per calcioscommesse; era il calcio che vedeva Walter Novellino guidare i blucerchiati a delle velleità europee, con una parte di quel centrocampo che di lì a poco avrebbe trascinato Genova ai Preliminari di Champions League. Era un altro calcio, ma era anche un altro Fabio Quagliarella, che nella stagione 2006/07, complice la già citata squalifica di Flachi, riuscì a trovare il suo spazio nell’attacco del WAN, togliendo minuti e spazio anche a Fabio Bazzani, in debito di condizione nella seconda metà di stagione. I gol di Quagliarella, di quell’anno, se li ricorda chiunque, qualsiasi tifoso di qualsiasi bandiera, perché si distinguevano per intuizione, per rapidità d’esecuzione e per l’impossibilità delle conclusioni che trovava: come disse Franceschini dopo la rete al Chievo Verona, quella del pallonetto da centrocampo a scavalcare Squizzi, «È pazzo».
Nella stagione 2006/07 Fabio Quagliarella totalizza 14 reti in stagione con la maglia della Sampdoria, di cui 13 in campionato: ha 23 anni e quell’anno Donadoni lo convoca anche per la Nazionale Italiana. A quell’anno appartengono capolavori balistici come il già citato gol al Chievo Verona, che vale il momentaneo 1-0 sui clivensi: l’attaccante napoletano recupera palla, si gira su se stesso e senza nemmeno guardare la porta, semplicemente sentendola, calcia da centrocampo scavalcando Squizzi, leggermente fuori dai pali. Ne fa un altro, in acrobazia: la Sampdoria vince contro la Reggina 1-0 e lo fa grazie a una sforbiciata in area di rigore di Quagliarella, che riceve da calcio d’angolo e supera Pellizzoli, oltre che il suo diretto marcatore che prova anche a sbilanciarlo. Contro l’Atalanta, lo stesso anno, si inventa un pallonetto in corsa dal vertice basso dell’area di rigore: è un gol vano, perché poi gli orobici vincono 3-2, ma resta la prodezza. Nella mente di tutti è fissa sicuramente anche l’intuizione, che però non si trasformò in gol, avuta nel 2009 con la maglia del Napoli indosso: il numero 27 – numero che non ha mai abbandonato – al 4′ del primo tempo della gara contro il Livorno si ritrova la palla tra i piedi, a pochi centimetri dal cerchio di centrocampo, e calcia verso la porta cercando di beffare De Lucia, estremo difensore amaranto. La palla sbatte sulla traversa e danza sulla linea di porta, finendo poi fuori. Un fortissimo fil rouge dietro a tutte queste azioni salienti: la fiducia in se stessi e in quella sfera che va calciata con i piedi.
Sono trascorsi dieci anni da quelle prodezze: Quagliarella ha avuto un carriera che avrebbe potuto e dovuto dire molto di più, soprattutto dopo il suo passaggio dal Napoli alla Juventus, un evento che scandalizzò l’intero San Paolo e che, solo con il senno di poi, gli è stato perdonato. Con grande ritardo. Il ricorso storico tanto caro a Giambattista Vico, corregionale di Quagliarella, lo riporta adesso alla Sampdoria: ha 35 anni ed è entrato in quella fase della carriera in cui qualsiasi altro giocatore inizia a svenarne, a ricercare la tranquillità per mettere i piedi a mollo nell’acqua e fare il proprio dovere solo quando impiegati col contagocce. Invece il numero 27 blucerchiato non è così: l’arrivo di Giampaolo lo ha portato a essere un titolare inamovibile del Doria e, con il peso di essere l’italiano più prolifico in A ancora in attività, Quagliarella continua a segnare. Quest’anno le reti sono già 16, record in Serie A, e sono tutte completamente diverse da quelle che segnava dieci anni fa. Perché quell’attaccante che ci aveva deliziato con prodezze uniche ha preferito lasciare spazio a una punta più concreta, più precisa, a volte di supporto a volte rapace nell’area piccola. All’età di 35 anni, liberatosi dei suoi fantasmi e di tutto ciò che gli annebbiava la testa, Quagliarella ha scoperto quanto sia essenziale segnare: ha messo da parte l’estetica in favore della concretezza. Sfrutta gli errori dei difensori avversari, approfitta della porta vuota, trasforma con freddezza i rigori, trova i dialoghi migliori con il compagno di reparto, che sia Zapata o che sia Caprari.
Raccontare ancora una volta l’esegesi del suo dramma privato e familiare sarebbe soltanto retorica: che Quagliarella abbia vissuto gli ultimi dieci anni con una spada di Damocle in testa, con le ansie procurategli da uno stalker, un ufficiale della polizia postale, che lo minacciava e lo perseguitava, è oramai cosa nota. Che se ne sia liberato e che abbia voluto raccontare tutta la verità, è altrettanto noto, così come è sotto gli occhi di tutti dal momento in cui si è liberato di tutte le preoccupazioni del caso ha visto la sua carriera riprendere il cammino. C’ha messo il cuore, come ha sempre fatto, anche quando con la maglia del Torino trasformò un rigore contro il Napoli e andò a scusarsi con i tifosi partenopei: attirò su di sé le ire dei supporter granata – come se non bastassero quelle dei partenopei – ma raccontò, con un gesto semplice e genuino, quale fosse stato il disagio vissuto a Napoli in quell’anno di passaggio, così vicino a casa. Quagliarella, però, è andato avanti e ha dimostrato di come a 35 anni si possa ancora essere fondamentali e unici nel proprio genere: basta avere la fiducia, la stessa che aveva quando calciava da centrocampo per superare Squizzi.