2014
ESCLUSIVA – Paolo Borea: «Boskov grande motivatore, ma non solo»
Un ricordo. Un ricordo che dura un’epoca. Quando si tratta di personaggi come Vujadin Boskov, per chi l’ha conosciuto, è difficile concentrarsi sul singolo aneddoto o episodio. Perché è impossibile raccontare personaggi come lui, uomini come lui, così diversi dagli altri suoi colleghi del mondo del pallone.
Paolo Borea, braccio destro di Paolo Mantovani per 12 anni, conosceva molto bene il tecnico serbo. Per questo motivo abbiamo deciso di contattarlo, per farci raccontare chi fosse davvero Vujadin Boskov: non solo l’allenatore, ma anche l’uomo, il cittadino del mondo, che lasciò il segno nel mondo del calcio.
«In questi momenti si fanno sempre i soliti discorsi. Io preferisco ricordare Vujadin per quella splendida persona che era: era ottimismo, era allegria, era sempre positività. Era battute, era fuori dalle righe di quello che è il mondo del calcio, che spesso e volentieri drammatizza le situazioni. Oggi senti gli allenatori parlare di calcio come se si trattasse di filosofia: lui era diverso, era laureato in storia, filosofia e anche psicologia, quindi aveva la capacità straordinaria di capire lo stato d’animo dei giocatori, interpretarne i desideri. È stato un grandissimo galvanizzatore, un motivatore: al di là del valore tecnico l’aspetto maggiore era questo. Al martedì, se avevamo perso una partita la domenica e magari i giocatori erano abbacchiati e non avevano troppa voglia di ricominciare l’allenamento, lui diceva: “Mah, oggi no, oggi niente allenamento, sono stanco. Facciamo un torneo, 5 contro 5” e magari giocava anche lui, in modo tale da sdrammatizzare la situazione e facendo sì che i giocatori si divertissero e ritrovassero il sorriso».
La girandola dei ricordi continua: «Un’altra volta ricordo che avevamo perso in casa una partita con la Roma, il primo anno mi pare, 3-0: non era una cosa abituale per la Sampdoria, soprattutto in casa, allora in conferenza stampa i giornalisti ovviamente lo incalzavano, fcendo domande sull’esito della gara. Lui spostò il tiro e disse: “Nonostante la sconfitta, ho visto la squadra in ripresa, domenica andiamo a Torino e vinciamo con la Juventus”. Non rispose alle domande dei giornalisti, che volevano mettere un po’ il dito nella piaga. Lui non lo permise perché divagò e riuscì a spostare l’attenzione sulla domenica successiva».
Un “padre” comprensivo e attento, ma anche esigente: «Per farle capire il carattere di questa persona, ricordo che giocavamo in casa con l’Inter e alla fine del primo tempo eravamo in vantaggio per 1-0. Io, che avevo visto la partita da bordocampo, ero galvanizzato, contento, felice. Vado negli spogliatoi e vedo Vujadin che urla contro i giocatori “Io non vi riconosco più! Non vi riconosco, perché una squadra come questa non può vincere solo 1-0, voi siete molto più forti dell’Inter e dovete fare almeno 3 goli!”, lui diceva goli. E alla fine finì 3-1. Lui era un grande motivatore di uomini, grande preparatore atletico. Lui non voleva il preparatore atletico, faceva lui gli allenamenti e aveva una capacità di coordinarli, variarli in modo tale che i giocatori potessero allenarsi divertendosi. Questo era Boskov, un grande affabulatore, affascinante, simpatico, colto. Era fuori dalle righe da quello che è lo stereotipo dell’allenatore moderno: piangono, si lamentano. Lui la parola “arbitro” non l’ha mai usata. Da lì nacque la famosa frase “Rigore è quando arbitro fischia”, non si appellava mai all’arbitro, mai, mai. Questa poi è una componente abbastanza comune agli allenatori stranieri».
Un cittadino del mondo, che fece capie alla Sampdoria di essere destinata a grandi successi. «Lui era un cittadino del mondo e portò il suo europeismo alla Sampdoria. Conosceva 7 lingue, era un cittadino del mondo. Era stato in Olanda, al Real Madrid, e quando arrivò alla Sampdoria noi eravamo una squadra giovane, una squadra in divenire: forte, senza sapere di essere forte, non ne eravamo consapevoli. Lui ci ha fatto capire questo, ha cominciato a portare la squadra in ritiro pre-campionato all’estero, a fare tornei all’estero contro squadre fortissime, prima ancora che noi conquistassimo l’Europa sul campo. Ci allenò a saper andare in giro per l’Europa calcisticamente parlando e fu una grande cosa. Boskov per la Sampdoria ha rappresentato la crescita, la consapevolezza dei propri mezzi. Io mi ricordo questo».