2014
Chiesa: «Allenare è bello, alla Sampdoria lo è ancora di più!»
Enrico Chiesa a 360°. L’attuale allenatore della Primavera blucerchiata si è concesso una lunghissima intervista al portale transalpino calciomio.fr, in cui ha ripercorso le tappe della sua carriera, dagli esordi con la maglia del Pontedecimo fino alla sua nuova vita come allenatore delle giovanili della squadra che lo lanciò in Serie A. Una girandola di ricordi incredibile, quasi commovente.
Dai campetti di periferia ai professionisti, per un campione come lui il passo è stato breve: «Ho cominciato a giocare seriamente a pallone a partire dai 12 anni.Fino ad allora avevo giocato con i miei amici sulla strada o sui campi del quartiere di Genova dove abitavo. Poi ho fatto un provino per il Pontedecimo, un club dell’entroterra ligure. Ci sono rimasto 3 anni e ho giocato una stagione in Serie D, con i professionistii, giocavo con dei compagni che erano già padri di famiglia. Io ero il piccolo giovane di talento. Inoltre questa regione non ha mai fornito grandi giocatori, dunque quanto ce n’è stato uno, si è trattato di un evento. Soprattutto a Mignano, da dove venivo io. Alla fine, dopo 3 anni al Pontedecimo, la Sampdoria mi ha reclutato».
Gli idoli di Enrico, non potevano che indossare i colori più belli. E poi non si tratta di nomi a caso... «I Vialli, Mancini e Cerezo della Sampdoria erano i giocatori che ammiravo, e in più ho giocato con loro più tardi, è stata una soddisfazione enorme per me».
La presa di coscienza di ciò che gli stava accadendo, del fatto che ormai il calcio era non più solo una passione ma una vera e propria professione, è arrivata tardi: «L’ho compreso veramente dopo 4 o 5 anni di Serie A. Fino ad allora non era che una passione. Per esempio, non avrei mai pensato di arrivare fino alla Nazionale. Sapevo che avevo delle qualità, ma bisogna essere coscienti di dover dimostrare il proprio valore ogni anno e cercare costantemente di migliorarsi».
25 anni fa, il 16 aprile 1989, all’Olimpico si gioca Roma – Sampdoria: non proprio una gara qualsiasi… «Ho dei buonissimi ricordi. Ero così giovane, avevo appena 18 anni. Non sapevo che avrei finito col giocare, avevo fatto già diverse apparizioni sul finale delle gare di campionato e in Coppa delle Coppe e speravo Boskov mi avrebbe dato una possibilità da un momento all’altro. Entrai in gioco a 8 minuti dalla fine rimpiazzando Pradella. Si giocava ancora nel vecchio Olimpico, una grande emozione».
Come tutti i grandi del nostro calcio, il Chiesa giocatore non fu privo di difetti. Il suo forse quello più tipico per i calciatori pieni di talento: «Il mio difetto è che non ho mai avuto una gran voglia di allenarmi. Ho compreso l’impotanza dopo la mia prima grande lesione, quando fui un poco più grande. È fondamentale per un calciatore perché puoi prevenire un mucchio di situazioni che vedi dopo le partite. Ma ero così, un fantasista prima di tutto. Le mie qualità principali erano di colpire facilmente sotto porta ed essere molto rapido. Due cose importanti per un attaccante, ancora di più oggi».
Nessun dubbio su quali furono gli anni della maturità calcistica, in cui fu possibile ammirare la miglior forma dell’attaccante genovese: «Gli anni al Parma e alla Fiorentina, verso i miei 29/30 anni, è l’età della maturità calcistica. Dopo 8 o 7 anni di Serie A avevo già giocato l’Europeo 1996 e la Coppa del Mondo del 1998. A 30 anni, sei nel pieno degli anni e senti che niente ti può fermare».
Continua la girandola dei ricordi: dal compagno di squadra di Parma Gigi Buffon, il cui unico difetto «è essere simpatizzante del Genoa», agli avversari Montero e Samuel, «I due difensori più duri sul’uomo», fino agli ex compagni che avrebbero potuto fare una carriera migliore: «Matjaz Florijancic, con il quale ho giocato nella Cremonese nel 1994-1995». Quindi, il dirigente che il bomber genovese ricorda con più piacere: «Il presidente del Siena Paolo De Luca, una figura importante per il club, i giocatori e la permanenza in Serie A». E sul rivale più temuto, Chiesa è chiaro: «Quando ero in forma, non c’era alcuna concorrenza».
Qualcuno tutt’ora rinfaccia a Chiesa il non essere mai riuscito a giocare nelle tre grandi sorelle, Juventus, Milan e Inter: la realtà è ben diversa. Infatti l’ex Siena fu più volte vicino alle tre grandi del nord Italia, come lui stesso racconta: «Sono stato vicino ai tre grandi club del nord Italia. Nel 1998 sono stato vicino al Milan, tre anni dopo idem con la Juve, era quasi tutto fatto ma ci fu il ritorno di Lippi e saltò tutto. E poi l’Inter, fu nel 1999 dopo Parma, ma alla fine sono andato alla Fiorentina».
E su quale sia il calciatore che più gli somiglia... «Per qualche anno mi sono rivisto in Pato, noto per la sua rapidità, il suo dribbling e la capacità di prendersi gli spazi».
In chiusura dell’intervista si passa dal Chiesa calciatore al Chiesa allenatore. La nuova avventura, le difficoltà del mestiere, le nuove responsabilità. Ma per l’allenatore della Primavera doriana, essere tornato a casa dopo 25 anni, è la gioia più bella.
«Sono un allenatore del centro di formazione della Sampdoria e mi sentio molto bene. Ho appreso molte cose in due anni con dei collaboratori che mi apprezzano e che apprezzo. La cosa più bella è stata ritornare a casa 25 anni dopo il mio debutto in Serie A e ritrovare le stesse persone. Una cosa è certa, è più facile essere giocatori che allenatori. I giocatori lavorano t3 ore al giorno e il resto del tempo è tranquillo. Al contrario l’allenatore ha una responsabilità due o tre volte più importante, soprattutto con i giovani in procinto di entrare tra i professionisti con tutte le problematiche che ho conosciuto anche io. È per questo che cerco di trasmettere loro questo aspetto. La scelta di allenare è stata naturale perché amo essere sul terreno di gioco. In realtà ho speso tutti i miei gradi in un anno. Quando vedo i dirigenti, io dico che è ancora più complicato perché noi allenatori possiamo sfogarci sul campo, ma loro? Urlando contro le mogli a casa?! Non è facile. In breve, allenare mi piace enormemente, farlo alla Sampdoria con i miei collaboratori che sono miei amici, ancora di più»