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Candreva: «Sono rinato alla Sampdoria. Lazio? Nel cuore»
Antonio Candreva, esterno della Sampdoria, fa il punto sulla sua stagione e sul match contro la Lazio: le sue parole
Antonio Candreva è rinato alla Sampdoria. Le parole del capocannoniere dei blucerchiati in vista del match contro la Lazio a Il Corriere dello Sport.
GENOVA – «Abito a cento metri dal lungomare. Anche quando il tempo è brutto ti viene da sorridere».
SAMPDORIA – «Sono contento del mio rendimento, un po’ meno pensando alla squadra. Sei felice quando si raggiungono gli obiettivi comuni. C’è stata qualche difficoltà sinora siamo stati discontinui. La passione per il calcio è immensa. L’entusiasmo fa andare avanti. E qui ci sono le condizioni per esprimersi bene. Sono arrivato a Genova un anno fa, venendo da una stagione particolare. La finale di Europa League a fine agosto. Sono andato via dall’Inter al termine di un mercato chiuso il 5 ottobre. Tutto di corsa, senza ritiro estivo. nella seconda metà del campionato, io e la Samp siamo venuti fuori meglio, chiudendo al nono posto con 52 punti. Ora siamo altalenanti, ma abbiamo tutte la capacità di ripeterci».
ATTEGGIAMENTO – «Bisogna dare continuità. È l’aspetto più importante. Siamo scesi in capo senza tanta determinazione e la reazione dei viola ci ha sorpreso. Queste partite servono per imparare. Dobbiamo essere più squadra nelle difficoltà».
LAZIO – «Troverà una Sampdoria arrabbiata e affamata, veniamo da una sconfitta. Sappiamo però di incontrare una grande squadra. Non attraversano un periodo brillante, ma ci sono giocatori forti, con un percorso importante. Sinora hanno fatto vedere partite da Lazio e altre normali o non da Lazio. Partita difficile».
SARRI – «Ho passato quattro anni e mezzo bellissimi, non lo nascondo. La Lazio mi ha dato tantissimo e io ho cercato di dare di più: è nel mio cuore e continuo a seguirla. Ora si trova in una fase di trasformazione. Siamo a dicembre ma serve tempo, ci sono giocatori giovani e altri che non hanno mai giocato in questo modo, vengono da cinque anni di un determinato calcio con Inzaghi. È difficile. Il tempo sembra un alibi, una scusa. I tifosi non accettano di aspettare. Alla fine però la pazienza conta. Bisogna lavorare bene per formare un’identità, ora servirebbero più allenamenti che partite. Se giochi tanto e non ti alleni, non hai tempo per leggere le partite rivederle, capire gli errori commessi».
D’AVERSA – «Veniamo da un campionato importante, forse sottovalutato, nono posto dietro alle grandi e al Sassuolo. Dare continuità al lavoro di Ranieri non sarà semplice, ma lo sapevamo tutti, 52 punti sono tanti. Però abbiamo la voglia per provare a ripeterci. L’obiettivo è fare bene, divertendosi e portando entusiasmo a Marassi».
NAZIONALE – «Ricordo quella partita. Era il periodo di transizione con Di Biagio, dopo un paio di mesi sarebbe arrivato Mancini per aprire un nuovo ciclo. L’Europeo l’ho seguito da tifoso e sono orgoglioso della Nazionale. Torneo super, complimenti. Tutti ci siamo divertiti a vedere gli azzurri. Si è riassaporata la voglia di Nazionale. Wembley, visto dall’interno con 80mila spettatori, è uno stadio fantastico. Vincere in casa dell’Inghilterra è stato ancora più bello».
MAGLIA AZZURRA – «È stato bello guardarlo e tifare. Un gruppo giovane. Stanno facendo bene. Si stanno imponendo nei loro ruoli e in Nazionale. Sono un vecchietto e quindi… Sarei onorato e orgoglioso di far parte di un gruppo che ha vinto l’Europeo indossando di nuovo una maglia gloriosa. È la nostra Nazionale. Siamo tutti un blocco unico quando scende in campo. Un pochino si era perso il senso di appartenenza. Mancini l’ha riportato. Vista dall’esterno l’atmosfera mi è sembrata simile a quella creata nel biennio di Conte. Noi, quando siamo usciti ai rigori contro la Germania eravamo dispiaciuti di tornare a casa. Volevamo rimanere tutti insieme perché eravamo diventati una famiglia. Da fuori si percepiva unione e compattezza degli Azzurri. Tornavano dalle partite con la musica, con l’entusiasmo, con i sorrisi».
CONVOCAZIONI BLUCERCHIATE – «Quagliarella, Caputo, Gabbiadini? Non so, penso che Mancini abbia tante cose per la testa. Il modulo, i giocatori. E poi ha impostato un nuovo ciclo, tirando su un gruppo importante. Solo per sfortuna non siamo andati subito al Mondiale, ma resta la fiducia. Dobbiamo conservarla, ci sono un grande commissario tecnico e una grande squadra. Hanno già realizzato un’impresa».
TROPPI STRANIERI IN A – «La gavetta bisogna farla, anche i campionati minori servono. Non è una bocciatura giocare in B o in una Serie A dove si può retrocedere. L’importante è crescere, acquistare autostima, esperienza. Tante componenti. Ho fatto otto anni di settore giovanile alla Lodigiani. Mi ricordo com’era serio quel vivaio. Se non andavi a scuola, non ti allenati. Tante cose non si davano per scontate. Non conosco bene la situazione attuale dei vivai, quanto tempo dedicano ai ragazzi. Dispiace, ma giocatori italiani forti e giovani escono ancora, perché ci sono».
MONDIALI – «Me lo auguro, spero di sì. Tutti pensano al Portogallo. Prima bisognerà battere la Macedonia e arrivarci bene, in salute. Marzo non è poi così lontano. Conterà la condizione».
REJA – «Grande Edy. Mi ha voluto bene sin dall’inizio. Ha creduto in me dopo un impatto complicato dal punto di vista ambientale e in campo. Ero giovane, avevo 24 anni. Reja mi trasmetteva tranquillità e mi toglieva pressioni anche se le cose non erano iniziate bene. Poi è stata fondamentale l’iea di collocarmi sulla fascia destra, dov’è iniziato il mio percorso».
IMMOBILE – «Domani sarà il pericolo numero uno, ma nella Lazio ci sono anche altri giocatori forti. Mi sembra una follia discutere Ciro, non solo per i gol. Non ho parole. La gente sottovaluta il suo lavoro. Pressa, attacca la profondità 750mila volte. Boh. È impensabile criticare un centravanti da 30 gol a stagione».
FELIPE ANDERSON – «Gli dirò bentornato. Ha fatto la scelta giusta, rientrando in Italia e soprattutto alla Lazio. È un ragazzo in gamba, positivo, sensibile. Secondo me deve credere di più in se stesso. Possiede qualità importanti, le ha già fatte vedere. Deve trovare maggiore continuità, gli manca solo quella per il salto di qualità».