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Ajazzone va in pensione: «Ho visto tutto ciò che si può vedere»
Ajazzone e i suoi 39 anni alla Sampdoria: da Mantovani a Ferrero. Scudetto, trasferte europee, retrocessioni. Sul futuro: «Possiamo toglierci delle soddisfazioni»
Trentanove anni accanto alla Sampdoria. Una vita passata a respirare blucerchiato: traslochi, cambi di proprietà, successi sportivi in Italia e in Europa. Purtroppo anche momenti bui, retrocessioni. La storia di Giorgio Ajazzone, storico team manager, è fatta di tanti ricordi tinti di blucerchiato: molti i campioni che ha visto nascere e crescere, diversi i presidenti con cui ha avuto il piacere di lavorare come Mantovani, unico nel suo genere, Riccardo Garrone che ha salvato la Sampdoria dal baratro, fino a Massimo Ferrero. Sono state tante anche le sedi, la prima in via XX Settembre, poi in piazza Campetto, per poi finire a Corte Lambruschini: «Ho visto quasi tutto quello che si può vedere, mi sono fatto tanti amici. La mia storia comincia dalla sede di via XX Settembre 33. Quando mi assumono, nel novembre 1978, siamo in cinque in ufficio. Facevamo tutto noi, biglietteria, contabilità, organizzazione trasferte, gli stipendi. A proposito, in 40 anni non ne ho mai ricevuto uno in ritardo».
Tanti ricordi, soprattutto dei calciatori, da Vialli e Mancini a Cassano, del quale Ajazzone ha un ricordo particolare: «Quelli a cui sono rimasto più affezionato sono Vialli e Mancini. Poi Antonio Cassano, mi dissero di stargli un po’ dietro – puntualizza al Secolo XIX -. Andiamo a pranzo insieme per la prima volta. Mi chiede il telefono e senza che me ne accorga manda un messaggio assurdo a tutta la rubrica. Dopo un paio di minuti iniziano a telefonarmi in tanti, “Giorno ma che ci scrivi? Sei matto?”. L’avevo mollato lì, era tornato a Bogliasco da solo in taxi. Poi era nato un bellissimo rapporto. Penso di essere il più grande falsario dei suoi autografi». I ricordi più belli sono necessariamente quelli legati alla Sampdoria di Mantovani: «Ricordo tante trasferte europee, come Bergen, Wembley, dove non meritavamo di perdere così. L’anno dello scudetto: non si perdeva, Pagliuca parava i rigori a Matthaeus, mi dicevo “sono segnali”. Se quella squadra fosse stata di Torino o Milano, di scudetti ne avrebbe vinti tre o quattro. Era troppo forte».
Non solo bei ricordi, anche alcune note dolenti: «Mi ricordo una rissa in campo. Sampdoria-Cagliari, marzo 2008. Pareggiamo con Franceschini al 90’, con un loro giocatore a terra. Nel tunnel del Ferraris scoppia un parapiglia, un sardo piccolo mi prende per il collo, gli ho sparato un pugno in faccia». Novellino è stato l’unico allenatore con cui ricorda un rapporto complicato, qualche battibecco ma alla fine è rimasta un’amicizia. Della Sampdoria di oggi invece solo pensieri positivi e ottimismo: «Osti e Ienca sono eccezionali con me, Giampaolo anche. Prima del derby sono passato dagli spogliatoi a salutare. L’allenatore è un mito, possiamo toglierci delle soddisfazioni».