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Certezza che vieni, certezza che vai
Ho parafrasato De André, che ai tifosi sampdoriani fa sempre storcere il naso, ma che per me rimarrà per sempre un patrimonio inestimabile di Genova e di tutta l’Italia: l’ho parafrasato perché penso a Faber, e lo canto nella mia testa, ogni qualvolta la tristezza prende il sopravvento sulla quotidianità, quando arriva il momento della riflessione, del pensiero più profondo di quello superficiale, di quello che spesso si fa accompagnare dalla gioia. Quando perdi una partita così, insomma.
La certezza che rimane è che a Cagliari, con i rossoblù, la Sampdoria proprio non ce la fa a vincere, non ce la fa a fare risultato: i sardi restano la bestia nera del Doria, che siano in Serie A da una vita o che siano nella massima categoria di ritorno dopo un anno di purgatorio. Non importa chi siano gli interpreti, non importa chi sia l’allenatore, perché loro avranno sempre qualcosa che permetterà all’intera squadra di andare a cento all’ora in più rispetto alla Sampdoria. Lo fa Joao Pedro, insomma, che addirittura riesce ad annichilire Pedro Pereira in velocità nel secondo tempo, quando tutti dovrebbero essere sulle ginocchia per la stanchezza; lo fa anche Padoin, quell’ultratrentenne oramai ritenuto più talismano che giocatore dai più, ma che dimostra sempre, ogni settimana, di essere un incredibile baluardo del calcio italiano, ricolmo di affetto e di rispetto da parte dei tifosi e degli appasionati di calcio. Forse ieri sera, però, qualche ingiuria dal popolo blucerchiato se l’è presa, per quel dribbling sul giovane portoghese. Ed è strano, tra l’altro, il climax di Pereira, che quest’anno sembra proprio non volerci e non poterci stare in Serie A, con errori dozzinali che l’anno scorso, con Zenga, non si sarebbe mai concesso. È strano perché questa difesa, con Giampaolo, macina molto di più rispetto a quanto avesse fatto con l’Uomo Ragno, a partire da Silvestre, che sembra giocare meglio anche dal periodo Mihajlovic.
La certezza che va è quell’incaponirsi di Giampaolo su una formazione da utilizzare per due partite nel corso della stessa settimana, questo suo non volersi concedere al turnover: Linetty ha accusato stanchezza al ventesimo del secondo tempo, non riuscendo a correre più come è abituato a fare lui coprendo tutto il campo; trova l’assist per Bruno Fernandes, sì, e il metterci sempre cuore e grinta gli permettono di arrivare a una abbondante sufficienza, ma il polacco è lo specchio di quella Sampdoria che annaspa dalla stanchezza e che avrebbe bisogno di rifiatare. D’altronde gli interpreti ci sono, perché non usarli? Basti vedere Bruno Fernandes, a corto di minutaggio e desideroso, mi ci gioco tutto, di spaccare il mondo. Entra e segna, che non è sicuramente figlio del fatto che il portoghese sia il più nitido talento al mondo lasciato a sedere in panchina, ma semplicemente della freschezza che il giocatore ha, non avendo, per l’appunto, minutaggio nelle gambe. Perché non farlo giocare dall’inizio concedendo così a qualcun altro di rifiatare?
La partita col Cagliari, mi viene da dire, è forse la prima brutta gara di questa Sampdoria: è la prima uscita in campionato in cui il Doria non è riuscito a collezionare uno schema di gioco, un’azione corale interessante. Siccome non è concepibile che Giampaolo abbia detto a tutti i suoi di fare tabula rasa e scendere in campo con il cervello svuotato, io punto il dito sulla stanchezza, sulla farraginosità dei movimenti scaturita necessariamente dall’aver faticato tantissimo su quelle gambe. Come d’altronde Muriel, che ha proprio bisogno di una sosta per ricaricare le batterie. Ora c’è il Palermo, poi ad alcuni di loro spetterà la Nazionale e dosarsi non è importante, di più.
Una chiosa su Viviano: la sua intraprendenza spesso mi ha fatto bloccare la circolazione, però nel tempo ho imparato ad avere fiducia nei suoi mezzi e nella sua grinta, per quanto le uscite rimassero un suo punto debole. Del suo sinistro, però, ho imparato a fidarmi ancor prima che Zenga lo mettesse a fare allenamento di movimento con gli altri a Ponte di Legno il primo di luglio dello scorso anno. Quello che c’è da dire è che a volte le soluzioni più immediate sono anche le più semplici: quel rinvio andava fatto col destro, di piatto, non d’esterno. Non sono un calciatore, non sono un allenatore: analizzo soltanto quello che, da spettatore critico, andava realmente fatto. Lui l’ha capito, tutti l’abbiamo capito: l’analisi della partita non cambia, che si tratti di pareggio o che si tratti di sconfitta gli elementi sopra enunciati sono comunque d’attualità. Viviano è un simbolo di questo Doria, oltre che un giocatore che ha dato continuità all’era Ferrero e agli ultimi anni, un giocatore voluto e osannato, che ha saputo conquistare il tifo e i tifosi. Un errore capita: ha saputo farci esultare a più riprese, non dimentichiamocelo.