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Paolo Conti: «La mia Samp irripetibile. Mi chiamò Nassi…»

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L’ex portiere blucerchiato Paolo Conti, in rosa dal 1981 al 1983, si è raccontato ai microfoni di Samp TV. Dopo aver difeso per anni i pali della Roma, l’estremo difensore accetta un ritorno in cadetteria con il Verona prima e con la Sampdoria poi, riuscendo al termine della sua esperienza a Genova a riportare la squadra in Serie A: «Ricordo che mi chiamò il dottor Nassi, che era il direttore sportivo, ma anche l’uomo di fiducia di Mantovani, il quale mi propose di approdare alla Sampdoria, che allora era in Serie B. Ma era una società di Serie B che aveva grandi potenzialità, il presidente aveva già dichiarato le sue importanti ambizioni, per cui non ho avuto problemi ad accettare questa destinazione, e non mi sono affatto pentito».

Anche dal punto di vista extra-calcistico, Conti ha solo bei ricordi: «Mi sono integrato bene a Genova, una città accogliente che può sembrare distaccata, ma in realtà è solamente più riservata. Come città mi affascina ancora, perchè c’è sempre qualcosa da scoprire. Ho avuto momenti e meno belli, come accade spesso a noi portieri, ma quello che mi è rimasto di Genova è una sensazione di benessere, nel senso che quando la ricordo lo faccio con il sorriso sulle labbra, e quindi è stato un momento piacevole della mia vita. Era veramente un bell’ambiente, Mantovani aveva lavorato molto bene nell’allestire la squadra ed era una presenza costante tra noi; si capiva che stava nascendo qualcosa di importante, perciò tutti eravamo contenti di essere lì. Ne ricordo tanti di giocatori di grande livello, era un periodo felice».

Poi passa a raccontare la sua piacevole, seppur breve, avventura con la maglia blucerchiata: «Iniziammo molto bene con Riccomini allenatore, poi ci furono, tornati a Genova, una decina di giorni di “macaja”; la squadra precipitò di condizione atletica e fece fatica a recuperare. A fare le spese fu il tecnico, e arrivò Uliveri: pian piano la squadra si riprese, perchè la squadra aveva potenzialità e Ulivieri si dimostrò all’altezza della situazione. Dovette rincorrere a lungo, ma alla fine raggiunse l’obiettivo. Arrivarono Liam Brady, Trevor Francis, Mancini, già si mettevano le basi per una squadra che non doveva soffrire, ma prendeva nei ruoli-chiave dei giovani che sarebbero poi stati punti fermi per il futuro. Era evidente che la squadra sarebbe sempre migliorata, perchè era la volontà del presidente, che è riuscito in un’impresa sulla quale pochi avrebbero scommesso».

Non si tratta di pessimismo, ma di realismo. E pare difficile, se non impossibile, ricreare l’atmosfera di quegli anni attorno alla Samp, senza parlare dei risultati stratosferici ottenuti: «La Samp era una grande squadra, e lo è anche oggi, ma non a quel livello: era un squadra che si barcamenava con grande dignità tra la A e la B, ma non è mai stata un top club. Per arrivare ai quei livelli e vincere con la Juve, con l’Inter, con il Milan, son stati bravi davvero… Io vivo in Romagna, dove ci sono pochi tifosi blucerchiati, ogni tanto però mi capita di incontrarne qualcuno e di ricordare i tempi passati, e soprattutto quella Sampdoria. Oggi la Sampdoria ha una grande squadra – conclude con un pizzico di nostalgia – ma quella aveva qualcosa di irripetibile».

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