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Tutto da rifare
Il Chievo non lo abbiamo scoperto ieri, non lo scopriamo quest’anno. Che fosse la squadra di Maran o che fosse quella che è stata di Corini, che al suo debutto sulla panchina clivense ci battè per 2 a 1 con quel gol di Di Michele che tutti ricordiamo, il Chievo è questo. Una squadra che lotta, che fa innervosire l’avversario, che porta allo stremo gli undici che gli si parano innanzi, con un’esperienza degna dell’Albano Bizzarri che hanno in porta – ieri l’unico portiere schierato in Serie A ad avere una Champions League nel palmares – e del Simone Pepe che si becca tutti gli insulti possibili dalla tribuna del Ferraris. Questo è il Chievo. Non saperlo arginare, dopo così tanti anni, è una sorpresa.
È una sorpresa che non t’aspetti, per una somma di diversi fattori che dovrebbero scendere in campo al Ferraris: è pur vero che c’è una vittoria da ottenere, per poter staccare ancora di più la zona calda, ma è altrettanto vero che la pazienza, quella che invoca un Viviano in modalità Uomo Ragno a fine partita, avrebbe dovuto mettere la gara su ben altri binari. Se il gol di Meggiorini, quindi, ha messo paura al Doria, il rigore parato a Birsa ha ridato verve e cattiveria agonistica, che però sono sfociate tutte nella confusione, nell’agitazione. Qualche settimana fa invocavo più rabbia, in un videoludico parallelismo che conduceva dritto nelle fauci della città di Irvine, in California, ma quella rabbia dev’essere controllata, non dev’essere una modalità berseker, per rimanere nella transmedialità dell’entertainment. Non bisogna giocare à la ndo cojo cojo.
È tutto da rifare, adesso, perché se gli ultimi tre risultati avevano finalmente fatto respirare un po’ di aria, avevano permesso a tutti noi di mettere la testa fuori dall’acqua e respirare a pieni polmoni, la vittoria del Carpi sull’Hellas, con Castori che si gode l’uscita dalla zona retrocessione, e il pareggio di Frosinone e Palermo non ci aiutano: Novellino e Stellone, la strana coppia, rosicchiano un punto al Doria, Castori invece ne prende addirittura tre. Ora la distanza dai romagnoli è di appena quattro punti, e mentre ci preoccupavamo del Frosinone ci siamo dimenticati di chi stava dietro ai ciociari, che è diventato all’improvviso molto più pericoloso. E quel pericolo continuerà, dopo la sosta, perché la Sampdoria sarà ospite del passato, in un rendez-vous che porterà Montella all’Artemio Franchi, e il Palermo invece si recherà nella mai doma Chievo, appagata dai risultati, lontana dal dover chiedere ancora qualcosa alla classifica e ai punti e che potrebbe anche cedere il passo ai rosanero.
Siamo tornati a dover esultare, perché è quello che fa parte dello stadio, al gol dell’Hellas, che con Rebic prova a infondere speranza al pubblico blucerchiato, ma che poi sancisce la definitiva condanna degli scaligeri: con otto partite mancanti sarà difficile recuperare 8 punti alle tre squadre che le stanno davanti, tutte in forma e assatanate di punti, tutte pronte a risalire la china. Tutte più della Sampdoria, tra l’altro, che è vittima dei leziosismi di Alvarez, della giornata storta di Cassano, che – ahimé, da terzo fan di FantAntonio dopo Carolina e Pardo – non ne indovina una, di un Muriel che non ha ancora deciso cosa fare da grande e di un Fernando sul quale si scatena tutta la rabbia di Viviano e di Montella per l’eccessiva gentilezza nei confronti di un Chievo che, sorpresa, lui l’ha scoperto soltanto ieri.
Ora è davvero tutto da rifare, ma intanto aspettiamo Pasqua, ricarichiamo le energie e ci godiamo tre dei nostri in Nazionale. Con il CT Conte che ci lascia un poderoso interrogativo: nella difesa – portiere escluso – schierata ieri c’erano soltanto due italiani, entrambi convocati, en plein, ma è la quarta peggior difesa del campionato di Serie A, che andrà comunque a vestire l’azzurro, a rappresentare il nostro Paese. Ma allora, se il singolo merita di emergere, perché il collettivo naufraga? Ma «a sapervelo spiegare, che filosofo sarei?» canterebbe il Bianconi.