Mancini: «Non mi spiego ancora il mio esonero. Tornare in Italia? È ancora presto» - Samp News 24
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2013

Mancini: «Non mi spiego ancora il mio esonero. Tornare in Italia? È ancora presto»

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Con la maglia numero 10 della Sampdoria vinse lo storico scudetto nella stagione 1990/91, una Coppa delle Coppe, quattro Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Finita la sua straordinaria carriera da calciatore Roberto Mancini si dedicò a fare il mister.

La sua nuova sfida da allenatore partì alla Lazio nel 2000, quando prese posto sulla panchina dei biancocelesti come vice allenatore a fianco di Eriksson; poi Fiorentina (dove vinse una Coppa Italia), di nuovo Lazio (seconda Coppa Italia da allenatore), Inter ( 3 campionati italiani, 2 Coppe Italia e Supercoppe italiane) e infine l’esperienza al Manchester City (una Premier League, una Coppa d’Inghilterra e la Community Shield). Sicuramente un vincente, anche quando non è lui stesso a scendere in campo per giocare.

I trofei vinti in Inghilterra non sono bastati per rimanere alla guida dei “Citizen”, ma Mancini è pronto a rimettersi in gioco: «Non mi sarei mai aspettato quello che poi è successo – ha raccontato ai microfoni de “Il Corriere dello Sport” – Oggi, che sono passati sessanta giorni, ancora non capisco i motivi di questo esonero. Ci sono rimasto male, pensavo di meritare più rispetto per quello che avevo fatto per il Manchester City. In tre stagioni e mezzo, con il mio staff, è stato fatto un lavoro straordinario. I numeri sono chiari, questo esonero ancora oggi non ha una motivazione. Sono, comunque, orgoglioso del mio lavoro. Lo sceicco Mansour e il presidente Khaldoon sono due grandissimi dirigenti, a cui sarò grato per sempre. Mi chiamarono e mi dissero: in tre anni vogliamo lo scudetto e io al secondo anno l’ho vinto. Ho ricostruito un club che a livello calcistico non era al vertice. Volevano arrivare in Champions e ci sono arrivato, anche se poi siamo usciti quasi subito. Ho vinto contro tutte le grandi, ho vinto 6-1 all’Old Trafford contro il Manchester United e a Londra in casa di Chelsea e Tottenham. Il City per tre anni ha giocato il miglior calcio della Premier, ha avuto la miglior difesa e il più lungo possesso palla del torneo. Giustificatemi questo esonero. Khaldoon resta una grandissima persona e un ottimo dirigente. Evidentemente qualcuno, ogni giorno per tanti mesi, deve avergli messo in testa situazioni che non corrispondevano al vero».

Se i rapporti con lo sceicco e il presidente erano buoni, non si può dire lo stesso di quelli con Ferrarn Soriano, amministratore delegato del Manchester City: «Per lui ero una persona troppo ingombrante, un manager che si occupava di tutto e che i tifosi amavano e amano ancora oggi. Ha giudicato una persona e un ambiente senza conoscere l’argomento di cui avrebbe dovuto trattare. Non l’ho trovato una persona interessante dal punto di vista calcistico, non parlavamo la stessa lingua e non mi riferisco all’italiano, allo spagnolo o all’inglese… Credo che prima si fosse occupato di una compagnia aerea, ma io non l’avevo mai sentito nominare. Io vivo di calcio da quando avevo 13 anni e Soriano prima di Manchester non l’avevo mai incrociato. Lui è arrivato in Inghilterra, ha assunto il ruolo di manager e vedo che gli piace esporsi sempre, gli piace parlare, stare in primo piano. La cosa non mi riguarda più. Ormai il City è al vertice del calcio europeo e il più è fatto».

Roberto Mancini aveva già in mente dei possibili colpi di mercato per rinforzare la sua squadra, dei veri e propri “boom” che avrebbero permesso ai “Citizen” di puntare al secondo scudetto: «Sì, subito dopo la conquista dello scudetto, siccome vivo di calcio e sono stato giocatore, avevo pensato di fare almeno tre innesti importanti. Sapevo che la squadra avrebbe avuto un rilassamento. Quando non sei abituato a vincere e raggiungi il top, ti siedi anche senza accorgertene. Van Persie? Lo sapevano tutti, non era un mistero. Avevamo già un accordo, sapevo che sarebbe stato l’uomo della differenza. Ma non ci siamo mossi, come poi per De Rossi e Hazard, gli acquisti che avevo indicato per fare il bis da scudetto. Non è un caso che la Premier sia stata vinta dalla squadra che aveva preso Van Persie. Su chi avrei puntato ora? Su Cavani, un top player a cui ci eravamo già avvicinati. E’ nel pieno della maturità, un giocatore straordinario, che attacca, difende e fa gol. Avrei fatto di tutto per prenderlo. E Fernandinho l’ho scelto io. Non conosco la volontà del presidente De Laurentiis, ma se vende Cavani e prende Dzeko sappia che andrà sul sicuro. Acquisterebbe un grandissimo attaccante, da 25 gol, che ha un solo difetto: ha bisogno di giocare sempre».

Nella lunga intervista rilasciata al quotidiano sportivo, non poteva di certo mancare un riferimento a Mario Balotelli e Carlos Tevez, due giocatori che dopo essere stati compagni al City, il prossimo anno si sfideranno nel campionato italiano: «Beh, i gol di Mario ci sono mancati, però da tempo avevo capito che in Inghilterra non stava più bene. Lui, come Suarez, era stato preso di mira dagli avversari, dagli arbitri, dal pubblico. Certo, lui non ha fatto niente per evitare certe situazioni… Lite? Vi giuro, non era successo niente. Partitella cinque contro quattro, decisi di giocare perché eravamo dispari e quando ho visto che Mario aveva colpito un suo compagno con un calcio gli ho detto di allontanarsi. Trenta secondi di scontro verbale sono diventati un caso che non esisteva. E’ un giocatore straordinario, a 17 anni gli ho consegnato l’Inter, a 21 l’ho portato in Premier, sapete che tipo di rapporto ho con lui: gli voglio bene, aveva bisogno di rientrare a casa e io gli ho consentito di lasciare Manchester con sei mesi di anticipo. Non l’ho più sentito da quando è andato al Milan. Tevez? Colpo straordinario della Juve, che qualcuno sta sottovalutando. Con Carlos ha messo ancora parecchia distanza tra lei e le rivali da scudetto. Con Tevez farà meglio anche in Champions. In Italia l’argentino diventerà un giocatore decisivo. Io l’avrei tenuto al City: con Aguero e Cavani. Rapporti difficili? Si rifiutò di entrare a Monaco contro il Bayern, per me il giorno dopo il caso era chiuso. Lo chiamai a casa e gli dissi di chiedere scusa a tutti. Lui non lo fece, ma fu consigliato malissimo. Tevez è un bravo ragazzo, a quell’epoca fu montato e fu spinto ad avere certi atteggiamenti. Rientrò dopo qualche mese e fu decisivo per lo scudetto».

Infine una battuta su quello che sarà il futuro dell’ex numero 10 blucerchiato, che ha voglia di tornare subito ad allenare: «Psg? Certo, si tratta di un grande club, ma non ho avuto nessun contatto. Per la seconda volta, dopo quarant’anni di lavoro, mi fermo e ne avevo bisogno. Monaco? Mai stato contattato. Ha un grande allenatore, Ranieri, che merita di gestire la squadra in serie A dopo il successo nel campionato cadetto. Tornare in Italia? No, vorrei fare ancora qualche esperienza all’estero. Liga o Premier, chissà: mi metto alla finestra e aspetto con serenità. Roma? No, mai avuto un contatto diretto. E’ un grande club, dal prestigio assoluto, che sta cercando di ricostruire un ciclo. Un’avventura che avrebbe avuto un suo fascino, non lo nego… Mai dire mai. Avrei preso in considerazione una proposta interessante».

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