Gli Ex
Bonetti: «Ferrero improponibile. Che differenza con Mantovani»
L’ex centrocampista della Sampdoria scudettata Bonetti: «Ferrero improponibile, che differenza con Mantovani. Boskov pazzo scatenato»
A Genova dal 1990 al 1993, Ivano Bonetti ha vissuto gli anni d’oro della Sampdoria e contribuito a conquistare lo storico Scudetto. L’ex centrocampista blucerchiato, intervenuto in diretta web con Una Banda di Cialtroni, ha ripercorso alcune tappe della sua parentesi coi liguri.
MANTOVANI – «A Genova abbiamo avuto un grandissimo Presidente, difficile ritrovare una persona del genere. Arriva un personaggio (Ferrero, ndr) che come stile non ha niente a che vedere, scudetto e coppe vinte è come se le dovessi purgare. Una differenza enorme come stile, improponibile».
PARTITA PIU’ BELLA – «Quando vedo le immagini del campo torno a quei tempi, come se fosse ieri. La partita è quella giocata su campo neutro contro la Stella Rossa, che dovevamo vincere a tutti i costi. La mattina usciti dall’albergo per una passeggiata si vedevano coltelli e pistole, un’atmosfera mostruosa. Eravamo nello spogliatoio e non volava una mosca, silenzio tombale. Sapevamo che era la vera finale, anche con il pareggio saremmo stati fuori. Ero vicino a Luca, ci guardavamo, ci stavamo mettendo i calzettoni, mi fa “Dobbiamo fare qualcosa?”, e io “Cantiamo”. Ho cominciato “Lotteremo fino alla morte…” e lui mi è venuto dietro, poi mi sono venuti dietro tutti gli altri, tutto lo spogliatoio cantava, da pelle d’oca. La partita sappiamo come è andata, abbiamo preso gol subito ma siamo riusciti a farne tre. Partita incredibile, la notte non ho dormito».
GRUPPO – «Boskov era un pazzo scatenato, aveva un modo di fare molto diretto, non ti potevi arrabbiare con lui. Una volta si presentò Cerezo con pantaloncini corti, Superga, occhiali e occhi gonfi, passando davanti a tutti. Boskov gli dice “Sei arrivato in ritardo” e Toninho passa testa bassa rispondendo “È già tanto che sia arrivato”. Toninho era uno spettacolo, eravamo un gruppo fantastico. Dovevamo vincere per andare a festeggiare, altrimenti non potevamo essere felici. Si giocava per la vittoria, per essere felici, per respirare l’entusiasmo della città. Quando c’è positività, con la gente la respiri insieme, si crea un’atmosfera vincente».